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mercoledì 23 giugno 2010

Sempre meno acqua

L’acqua non è illimitata. È una risorsa rinnovabile ma non equamente distribuita ed è minacciata dallo sfruttamento e dall’inquinamento. A chi la sua gestione?
di Gianpiero Cossarini e Barbara Rossini


Se pensiamo che l’acqua sia una risorsa illimitata e gratuita perché la vediamo ogni giorno riempire il nostro bel golfo o scorrere dai nostri rubinetti al semplice tocco, ci sbagliamo di grosso! Sebbene il 71% della superficie terreste sia ricoperta d’acqua, solo una piccola parte, il 2%, è dolce. Ma la maggior parte dell’acqua dolce è immobilizzata nelle calotte polari e nei ghiacciai, ed è pertanto non accessibile. Soltanto l’acqua continentale (fiumi, laghi e corsi sotterranei), che rappresenta lo 0.014% del totale (ovvero 40.000 miliardi di m3) è utilizzabile da noi, dalle piante e dagli animali. A prima vista, il numero appare molto elevato. Si potrebbe perfino affermare che ce ne sia in abbondanza per tutta l’umanità, visto che ogni anno il ciclo dell’acqua (quello studiato sui sussidiari alle elementari: l’evaporazione dai mari, la condensazione nelle nuvole, la precipitazione in pioggia, lo sgorgare dalle sorgenti e il lento defluire di nuovo al mare) ne rende disponibile e rinnovabile una quantità pro capite di oltre 6000 m3. Ma non è cosi!

Anzitutto non è equamente distribuita tra i continenti, gli stati e i popoli; cosi un islandese può beneficiare di oltre 700.000 m3 all’anno, un europeo di oltre 2˙500 m3 annui, mentre un abitante della Palestina di 300 m3, uno di Malta di 25 m3. Questo squilibrio genera tensioni tra i popoli e gli stati per l’uso e il controllo delle risorse idriche. Alcune delle guerre moderne (ad esempio in Darfur o in Palestina, solo per citare due casi) possono essere analizzate anche in relazione al controllo delle sorgenti d’acqua.

In secondo luogo, anche dov’è abbondante, l’acqua può essere fruibile in pochi e brevi periodi, intervallati da siccità e penuria. Si stima che circa il 20% del territorio italiano, soprattutto nel sud, è vulnerabile al rischio desertificazione a causa, assieme ad altri fattori, anche della crescente carenza d’acqua legata ai cambiamenti climatici.

C’e poi l’inquinamento e lo sfruttamento incontrollato che insidiano sempre più la qualità dell’acqua potabile. Non serve andar lontano, basti ricordare che, agli inizi degli anni ’90, numerose città della pianura friulana dovettero chiudere letteralmente i rubinetti nelle case per mesi perché le falde degli acquedotti erano inquinate dall’atrazina.

E se guardiamo a come viene utilizzata, scopriamo che l’acqua che utilizziamo per dissetarci, lavarci, cucinare, pulire rappresenta solo l’8% del consumo medio italiano; l’agricoltura si beve il 69% dell’acqua disponibile mentre l’industria il 23%. Ciascuno di noi consuma in media 200 litri di acqua al giorno per gli usi domestici, ma per coltivare un chilo di frutta o verdura sono necessari tra 500 e 1˙000 litri; per “allevare” un chilo di carne anche oltre 10˙000-15˙000 litri di acqua e un capo d’abbigliamento assorbe da 5˙000 a 15˙000 litri d’acqua.

In ultimo, va ricordato che l’acqua è utilizzata per la produzione di energia (sequestrata nei laghi e poi imbrigliata nelle condotte delle centrali), per disperdere l’inquinamento, come mezzo di trasporto, come luogo ricreativo, ed è parte vitale ed essenziale di molti ecosistemi dal cui benessere dipendono tante attività dell’uomo.

Il quadro che emerge è che, anche da noi, l’acqua costituisce una risorsa rinnovabile ma vulnerabile e potenzialmente scarsa, inserita in un sistema fragile di relazioni, ove s’intersecano interessi divergenti se non contrastanti.

La sua gestione deve, quindi, essere improntata all’insegna di principi di efficienza, di conservazione della sua qualità, di equità della sua disponibilità e di efficace uso.

Sull’argomento, il dibattito è acceso perché vi sono divergenti visioni.

C’è chi, come il Global Water Partnership, organizzazione a cui afferiscono multinazionali, Banca Mondiale ed alcuni paesi, che diffonde, anche attraverso il forum mondiale dell’acqua, una visione dell’acqua come bisogno e bene economico da assoggettare al mercato, in virtù della capacità del privato e del mercato di razionalizzare e rendere efficiente l’uso e la gestione della risorsa.

E c’è chi, come molte associazioni ambientaliste e sociali, comitati ed enti locali, che propongono una visione secondo cui l’acqua è un diritto e la sua gestione dovrebbe esser libera non solo dal profitto ma anche dalla politicizzazione e finalizzata all’interesse della comunità.

Piace ricordare la storia di Cochabamba in Bolivia dove, dopo la privatizzazione del sistema idrico nel 1999 a favore di una multinazionale e l’instaurazione di un regime che aveva anche negato l’accesso all’acqua alla gente, il movimento "coordinadora de defensa del agua y la vida” ha costretto, dopo dure lotte, il governo a revocare la legge sulla privatizzazione.

E in Italia? Se ne sta discutendo ora con una nuova legge che muove verso la privatizzazione. Ma certamente si può dire che non è vero che per una gestione efficiente della risorsa bisogna ricorrere al privato. La pubblica Irisacqua di Gorizia offre un ottimo servizio ai nostri vicini e reinveste gli utili per migliorarne il servizio e in progetti di sviluppo, mentre la privatizzazione dell’acqua ad Arezzo è stata riconosciuta come un fallimento per il cittadino.

Neanche è vero che se l’acqua è pubblica se ne ha un uso equo ed efficace. Il sistema idrico, in molte regioni, è un colabrodo (in media si perde oltre il 40% dell’acqua estratta dai fiumi e dalle falde), e l’acqua costa poco (meno di 1€/1˙000 litri per usi civili e ancor meno per gli usi agricoli) determinandone spesso un uso poco attento ed uno spreco. Troppo spesso, poi, il pubblico non è in grado di far rispondere del danno chi spreca ed inquina.

In ogni caso nè il pubblico nè il privato al momento sembrano interessati ad investire quei 60 miliardi di euro che nel prossimo decennio sarebbero necessari per modernizzare le infrastrutture e ridurne gli sprechi.

La gestione dell’acqua è una problematica di non facile soluzione, ma che necessita di una discussione aperta ed informata e di una forte consapevolezza della gente per decidere come questa risorsa primaria ma limitata debba essere utilizzata, gestita e governata.



Dati e informazioni per questo articolo sono stati presi da:

Jacques Sironneau, L’acqua. Nuovo obiettivo strategico mondiale, Asterios Editore

Martinelli Luca, L’acqua è una merce, ed. Altreconomia, 2010

Acqua: il mondo assetato, National Geographic Italia, marzo 2010

Istruzioni per l’acqua, Carta marzo 2010

Acqua: pubblica, privata o pulita? Legambiente, febbraio 2010


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