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mercoledì 23 giugno 2010

Haiti

L’e-mail di Francesca, l'ingegnere di Medici Senza Frontiere, che racconta la sua esperienza nel paese colpito dal terremoto.
di Francesca Coloni



Amici immersi nell’inverno, nella primavera o nell’estate, nelle piogge o nel sole, nel caldo o nel freddo, nella polvere o nell’aria condizionata... finalmente trovo mezz’ora per dirvi che sono ancora a Port Au Prince (PAP), più che mai al lavoro, dopo giornate che sembrano settimane da tanto si gira, si decide e si fa.

Il trauma sembra essersi cronicizzato visto che la terra trema ancora sporadicamente e perciò le persone non si fidano ancora a dormire nelle loro case, anche se non sono state distrutte. Tutto attorno continua ad esserci distruzione e soprattutto disperazione che dato il tempo che passa muta in rassegnazione. Anch’io mi rendo conto che più passa il tempo e più mi abituo alla situazione: ma non si può abbassare i propri livelli di allerta solo perché dopo un mese di vita ad Haiti mi sembra di viverci da molto più a lungo. Questo è anche parte del nostro lavoro, ti devi avvolgere del paese in cui ti trovi per comprendere le priorità della gente e del luogo, altrimenti se paragoni la situazione locale a quella occidentale ti accorgi che il divario è una voragine e i mezzi a disposizione così ridotti che pensi che sia meglio riprendere l’aereo per andare nel primo posto ricoperto da una minima cuticola di benessere.

Dopo la corsa contro il tempo nella primissima fase dell’urgenza, in cui le priorità di MSF sono state gli interventi chirurgici e la distribuzione d’acqua alla popolazione sfollata, siamo finalmente riusciti a lanciare una strategia a più ampio raggio concernente il recupero e la riabilitazione dei pazienti amputati, la salute mentale, l’ingegneria sanitaria (= toilettes), la gestione rifiuti e il controllo vettori nei campi sfollati in cui MSF ha deciso di intervenire.

Troppi i bisogni, troppo pochi gli aiuti messi in pratica, sebbene tutti quelli arrivati a PAP si stiano dando più che mai da fare, dalla piccola organizzazione parrocchiale alla Federazione Internazionale della Croce Rossa.

Questo però non vale per i militari e i “peacekeepers” , che sono qui non per aiutare ma per “monitorare e garantire la sicurezza”. Niente da fare, gli incidenti succedono lo stesso, i feriti da arma da fuoco o da machete continuano ad arrivare nei nostri ospedali, difficile gestire le distribuzioni di qualunque genere nei campi, oramai la gente è talmente inquieta perché inizia a piovere e loro sono per la maggior parte ancora sotto i loro straccetti comunque arrangiati. Niente toilettes, e vivono nelle piazze, sugli incroci, nei campi sportivi, sui marciapiedi, alla mercè degli sbandati e delle intemperie.

Un haitiano ha giustamente osservato che i soldati son venuti qui per difendere Haiti, ma in realtà si comportano come se stessero difendendo se stessi da Haiti!

L’altro giorno durante una distribuzione di teli di plastica in un campo dove abbiamo installato una riserva di acqua da 15.000 litri, qualcuno venuto dall’esterno, per il rancore di essere stato scartato dalla lista dei beneficiari riceventi il prezioso telo di plastica, ha accoltellato la nostra riserva d’acqua! Rammarico da parte dei residenti del campo che hanno cercato di proporci di pagare per la riparazione. Niente paura, per fortuna nei nostri kit c’è sempre il bostik, la carta vetrata ed un bieco, in pratica è come aggiustare una gigantesca camera d’ara di bicicletta.

MSF ha iniziato da un bel po’ la distribuzione di acqua, però ora bisogna provvedere ad altri bisogni: distribuzione di tende, coperte, zanzariere (la malaria è in aumento e ci si aspetta anche il Dengue), kit igienici, costruzione di toilettes e docce.

Con più di un milione di sfollati, le organizzazioni umanitarie si stanno spartendo i campi e le attività ma le difficoltà tecniche sembrano un rompicapo.

A volte ho la sensazione di essere nel ventre della balena, mentre gli squali ti girano attorno. Come quando scii a fine giornata, cadi e non hai piu la forza di rialzarti, cerchi, ma è dura! Dunque, servono toilettes e questo è l’appello riportato pure sui giornali internazionali.

Ma ecco le difficoltà: è impossibile scavare pozzi neri per le toilettes sull’asfalto, o dove si incontra la roccia dopo 50 cm, o dove si incontra la falda a 80 cm dalla quota terreno (nelle zone prospicenti il mare) ora che siamo alla fine della stagione secca. E poi alcuni proprietari dei terreni dove la gente alloggia accettano le persone ma rifiutano di vedersi scavare le toilettes nella loro terra. Come dargli torto se sei il proprietario di un campo di calcio…

Quindi le toilettes devono essere costruite su strutture rimovibili e rialzate di modo che i reflui si raccolgano in taniche appositamente collocate.

C’è poi il problema di svuotarle, qui a PAP ci sono 3 camion per lo svuotamento delle fosse settiche. In una città con 2.5milioni di abitanti. Un sistema fognario non esiste minimamente: non possono infatti considerarsi tali i canali aperti che solcano tutta la città, fatti principalmente per collettare le acque bianche (di pioggia) ma dove tutti sono abituati a gettare ogni sorta di rifiuti. Ed ora questi canali sono ostruiti dai resti delle case distrutte, non serve essere un ingegnere idraulico per allarmarsi davanti al rischio di rigurgiti a monte e conseguenti esondazioni in gran parte della città.

Questo comporterà una disseminazione dei coliformi fecali, i batteri che normalmente bivaccano nei nostri intestini e quando reintrodotti per sbaglio (causa acqua contaminata, cibo mal cotto, frutta e verdura non lavate, mosche che ne fanno il trasporto aereo) provocano la diarrea. Già noi espatriati non ne siamo rimasti immuni (e per questo il team watsan ha dovuto implementare nelle nostre case misure da campo colerico, inondando bagni e cucine di soluzione di cloro), immaginatevi chi vive in campi con 5.000 persone e senza una toilette.

Nelle mie ore trascorse in imbottigliamenti terribili in cui cerco di fare qualunque lavoro (telefonare, legere, sonnecchiare, pianificare), mi convinco che l’unica soluzione “quick and dirty” come si dice e piace ad MSF è il costruire una cabina e un secchio adattato a sedile di toilette, dotare il posto di una persona delle pulizie incaricata di donare ad ognuno un sacchetto di plastica biodegradabile che servirà da toilette monouso. Può suonare una soluzione barbara ma credetemi che ho camminato in troppi posti dove non sai dove posare il tuo piede per evitare di pestare « qualcosa che porta fortuna », a un paio di metri dai ripari dove la gente vive.

Per lo svuotamento delle fosse io e un collega scozzese abbiamo provato soluzione “casalinga”: lo scorso sabato mattina con una pompa a membrana ed una tanica da 400 galloni posizionata sul pianale di un camion siamo riusciti a svuotare le toilette dei nostri ospedali. Soluzione da brevettare nel frattempo che attendiamo dall’Europa, come la manna dal cielo, due rimorchi-cisterna da 5metri cubi con pompa a vuoto e soprattutto di filtri a carbone per l’abbattimento degli odori. Li ho ordinati 3 settimane fa, saranno a Santo Domingo tra un paio, me li sogno già di notte !!!

Dicevo delle sensazioni che tutto vada nel verso storto. L’altro giorno vado al quartier generale della Croce Rossa per prendere in prestito uno scavatore: di solito una maglietta MSF ed una pelle bianca funzionano da passaporto per entrare ovunque durante le emergenze umanitarie. Ma non qui! Le regole di sicurezza impongono un controllo pari a quello da superare tra Croazia e Bosnia – davvero inquisitore. Impietosisco uno della Croce Rossa francese che cerca dei contatti con MSF. Con la sua garanzia mi fan passare lasciando copia del passaporto alla reception e dandomi un badge della croce rossa. Non faccio quattro passi che trovo un ex espatriato di MSF! È un architetto inglese a cui davo supporto mentre era in missione in Malawi per la costruzione di alcune toilettes “innovative” da cui recuperare la materia fecale con concime. Dettagli tecnici.

Lo scavatore me lo fanno vedere il giorno prima: un bobcat nuovo di zecca! Bene bene a noi servirà un sacco per scavare nella nuova struttura ospedaliera che stiamo costruendo.

Rivedo lo scavatore scintillante: incredibile, ha una ruota forata! Aspetta che la sostituiscano, vai a prendere l’operatore nel campo di sfollati in cui vive. Nel campo tutti i lavori di miglioramento sono fermi perché nella notte una gang è entrata nel campo ed hanno ucciso una persona con un filo di ferro stretto alla gola.

Una cosa che non è mai stata evidenziata dalle televisioni e dai giornali che hanno fatto rimbombare la crisi haitiana è che qui c’è una criminalità MOLTO BEN organizzata. Per di più tutti i prigionieri sopravvissuti al terremoto son riusciti a scappare approfittando del collasso fisico delle strutture in cui erano detenuti. Ed ora stanno cercando di ricostruire il loro tessuto marcio fatto di sparatorie, stupri, rivendicazioni nei vari quartieri. Ce ne sono di proibiti perfino alle Nazioni Unite, dove (ovviamente) MSF ha un pacifico ospedale chirurgico.

Citè Soleil è il quartiere di PAP che gode della fama di essere stata qualche anno fa la bidonville più pericolosa del mondo. Nessun espatriato ha il permesso di girarci, i movimenti (sempre in auto) sono ristretti all’ospedale situato nel centro di questa slum. Beh, nessuno a parte qualcuno…. Grazie alla scorta di un “contatto” locale la scrivente ha avuto il privilegio e l’onore di fare una valutazione sulla situazione sanitaria (catastrofica), a cui è seguita la rapida decisione di iniziare un programma di pulizia e riabilitazione di toilettes comunitarie. Questo, per fare in modo che la gente locale, gli ultimi della Terra, non insorgano (giustamente) visto che il terremoto li ha solo marginalmente danneggiati: qui ci sono solo baracche che più che crollare si sono sfasciate e sono state subito risistemate. Ma come ignorare la crisi in perenne corso di queste persone: sono sempre vissute nella me...a e ci vivranno per le prossime X generazioni, ma non lo desiderano, è qui che a qualche giorno dal terremoto gli abitanti si son fatti giustizia da soli uccidendo un capo delle gang sfuggito dalla prigione distrutta dal terremoto che voleva reinsediarsi a Citè Soleil; qui i bambini sporchi e nudi che mi si aggrappano alle braccia per toccare una pelle bianca mi mostrano la spazzatura ovunque e mi dicono “il faut le lever” (bisogna portarle via), e mi indicano i “portafortuna” da evitare di pestare. Va bene dunque aiutare gli sfollati, ma bisogna sfogare anche la pressione posta su altre sacche sociali, il lavoro tecnico umanitario è anche e soprattutto un gioco di compromessi, negoziazioni, evitare gli sbilanciamenti.

Intuizione giusta ? Sì : il giorno dopo l’inizio della pulizia, la mia collega comasca (ciao Antonella!) che segue il programma mi fa sapere che qualche buonanima locale ha voluto dimostrare l’apprezzamento per l’attenzione loro dimostrata scrivendo un bel graffito sul muro del nostro ospedale: “Viv MSF nan Citè Soleil” (viva MSF a Citè Soleil). Per me è come aver vinto una guerra. State sicuri che MSF sarà ancora più rispettata e protetta a Citè Soleil.

Un affettuosissimo saluto



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