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mercoledì 23 giugno 2010

… e l’acqua salata?

Nello speciale del National Geographic Italia dedicato all’acqua tutti gli articoli sono riferiti all’acqua dolce. La nostra redazione vanta fior fior di esperti d’acqua (ma salata, perbacco!) e pensiamo sia doveroso e sacrosanto integrare questo numero del Volentieri con un articolo sull’acqua SALATA, vulgo acqua de mar.
di S. Querin, P. Lazzari e S. Salon


Com’è profondo il mare (Lucio D.), quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai (Paolo C.).

Lucio e Paolo, i nostri grandi cantautori, di mare ne capiscono davvero. Tuttavia, volendo proprio essere pignoli bisogna riconoscere che, batimetrie alla mano, i mari sono sì estesi, visto che occupano il 70% della superficie terrestre, ma, con le dovute proporzioni, sono sottili come un foglio di carta velina. Dicendola alla Piero Angela: “Immaginate il nostro pianeta come un’arancia, ebbene, gli oceani occuperebbero appena lo spazio della sua sottile carta protettiva”. Grandi superfici consentono grandi scambi di massa ed energia con l’atmosfera, rendendo quindi il mare un enorme accumulatore di calore.

Un’immensa arteria d’acqua (nota come conveyor belt, vedi figura) percorre Oceano Atlantico, Indiano e Pacifico, toccando i Poli e attraversando l’Equatore, e influenza la circolazione su scala globale, regolando il clima di questo pazzo mondo.

Se le correnti marine sono l’apparato circolatorio degli oceani, gli organismi vegetali presenti al loro interno ne sono i polmoni. Le foreste che popolano i mari sono composte da tutti i tipi di alghe che vediamo quando passeggiamo lungo le spiagge, o andiamo a farci un bagno, ma soprattutto da un’infinità di microrganismi vegetali invisibili ad occhio nudo. Alcuni di essi, i famigerati batteri autotrofi (alias cianobatteri), sono piccolissimi (meno di 2 millesimi di millimetro) e la loro importanza nell’ecosistema marino è stata scoperta solo in anni recenti. Il complesso di questi organismi microscopici, esattamente come gli alberi e le piante terrestri, è in grado di assorbire anidride carbonica ed emettere ossigeno. Questo processo è potenzialmente in grado di ridurre la componente antropica dell’effetto serra, che molti pensano possa provocare uno sgradevole aumento di temperatura del pianeta. Stime esatte di quali siano le capacità regolatrici degli oceani sono piuttosto difficili: gli scienziati stanno intensificando le ricerche sperimentali sull’ecosistema marino e si affidano ai super-calcolatori per cercare di capire se questi enormi polmoni possano contenere gli effetti delle porcherie emesse nell’ambiente dall’uomo. Tuttavia, la grande complessità e varietà dei processi naturali e delle attività umane impediscono previsioni esatte.

E dalle nostre parti? El mar se movi apena... Mica tanto! Il Golfo di Trieste ha un comportamento estremamente vario e dinamico (anche in questo se distinguemo): alle volte, quando soffia solo una fresca bavisela, se ne sta tranquillo, spesso però è interessato da correnti di natura e caratteristiche diversissime: la Bora rimescola le acque come fosse un carziùl[1] gigantesco e le spinge con forza fuori dal Golfo. I venti di Scirocco, e soprattutto di Libeccio, possono causare pericolose mareggiate mentre le acque dolci e torbide dell’Isonzo in piena tendono ad espandersi in superficie come una grande chiazza d’olio che può arrivare fino a Miramare o, in certi casi, a Trieste e Muggia.

Alcuni anni fa i giornali avevano riportato la notizia che i cambiamenti del clima stavano bloccando la “corrente del Golfo di Trieste”, rischiando di alterare le condizioni oceanografiche dell’Adriatico in modo potenzialmente catastrofico. Niente allarmismi! La “corrente del Golfo di Trieste” formalmente non esiste affatto e non deve far pensare a presunte analogie con la corrente del Golfo del Messico. Si tratta di fenomeni completamente diversi: in due parole, durante i mesi invernali nel nostro Golfo, come in buona parte del Nord Adriatico, il forte raffreddamento dovuto alle temperature rigide e alla Bora, crea acque fredde (quindi più pesanti) che in primavera ed estate scorrono lentamente in profondità fino a raggiungere il canale d’Otranto. A seconda degli anni, queste acque (che gli oceanografi chiamano “dense”) si formano in quantità maggiori o minori, influenzando le caratteristiche dell’Adriatico in maniera differente, ma sempre nell’ambito della normale variabilità che si riscontra di anno in anno. Quindi, almeno nel prossimo futuro, non ci attendono scenari da disaster movie americano, tipo Mìkeze e Jàkeze con l’acqua alla gola. Ma questo è pane per i climatologi.

Insomma, il mare ha ancora molto da raccontarci, quindi, scoltè: l’acqua salada no servi solo per cusinarse la pastasuta!

N.d.R.: questo articolo è stato redatto NON bevendo acqua (né dolce né salata).


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