Colletta Alimentare 2011

Colletta Alimentare 2011 - Io ci sarò!

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venerdì 1 maggio 2009

Il mio nome è Volentieri - Editoriale n°0


Volentieri? Si volentieri mi leggerai … e chissà che non ci trovi una qualche scheggia di notizia, informazione che stuzzicherà la tua curiosità e la tua voglia di discutere, creare un dubbio per poi cercare una risposta. Perché è così che queste mie pagine sono nate, dal desiderio e dalla voglia di creare uno spazio per esprimere creatività, approfondire interessi, incuriosirsi e incuriosire il vicino. E allora da un “femo?” “volentieri” (alla triestina, ovvero NO) si è passati ad un “volentieri femo!”.

Ed ecco che è nata un’idea: inventare e scrivere una rivista: io. Sono stata concepita intanto su carta perché c’è un che di romantico a stropicciarmi e a spiegazzare le mie pagine mentre le leggi, e poi è facile portarmi appresso. Sono composta di brevi articoli, capaci di raccontarti qualcosa in poche righe, da leggere nelle pause, in tram, in bus, alla fermata, in bagno e ovunque avrai tempo di fermarti 5 minuti. Spero di invogliare a ritagliarti delle pause per leggere le poche righe di un mio articolo. Si, perché vorrei spingerti a riprendere un po’ il tempo da dedicare all’informazione. Contengo volutamente delle schegge d’informazione impazzite perché vorrei afferrare e rallentare un poco di quel enorme flusso di informazioni che ti circonda e sfiora ma non ti tocca e sporca. Ho scelto alcuni frammenti rallentandoli ad una velocità naturale più lenta di quella a cui siamo abituati, e quindi forse più accessibili.

Ma ancora non ti ho detto chi mi ha scritto. I nomi sono tutti scritti qui accanto ma in verità, non so bene chi siano: alcuni sono triestini altri no, alcuni vivono qua da sempre, altri da molti anni, altri da poco. L’idea di farmi nascere l’hanno scarabocchiata una sera su dei fogli, unti di torta salata, buttati su un tavolo macchiato di terrano. E loro erano lì, a raccontarsi un sacco di idee (spesso bislacche), con molta voglia di fare, poca esperienza ma con la convinzione che facendo si impara e che stare attorno ad un tavolo con una (in realtà, ma non ditelo in giro, ve ne erano parecchie) bottiglia di vino a discutere e scherzare sia un bel modo di passare la serata.

Mi stuzzica l’idea di essere stata pensata come un’altra possibilità per raggiungere, incuriosire e stimolare il maggior numero di persone, usando un linguaggio schietto, semplice e divertente, per raccontarti nuovi argomenti, nuove domande ma anche vecchie risposte dimenticate. Ma soprattutto spero di incuriosirti per la diversità che troverai tra le mie pagine che rispecchia la curiosità e le strampalate idee discusse attorno al tavolo. Troverai un mosaico di scintille che spero sarà un abbrivio mentale, culturale e intellettuale liberamente recepibile da chi si presterà al gioco.

Nasco a Trieste, perché ci sono tante cose da scoprire e riscoprire in questo territorio, nuove e vecchie parole e luoghi da ricercare e tipiche ricette da provare. E dalla città si può partire per rispolverare i sentieri del Carso o esplorare i Balcani. Se viaggiare è un bel modo per conoscere e conoscere noi stessi, ti propongo poi alcuni temi per pensare e non fermarti alla superficie delle cose. Ti parlerò di immigrazione e integrazione, della sostenibilità di un concerto e di consumo consapevole; ti proporrò poi delle buone idee per il riciclo e per l’abitare solidale. E se questi temi sono importanti e di molta attualità ma poi pensi di aver bisogno di un po’ di leggerezza, allora goditi la Rubrica di Philo, l’angolo di diversarte, le statistiche triestine e il concorso “el cartelin”.

E soprattutto, dopo avermi letta, non buttarmi via subito! Lasciati cullare dalla voglia di cercare e dall’idea di provare un nuovo percorso… e solo allora buttami nel cestino della raccolta differenziata! Così sì che sarò contenta di non essere stata sprecata. Intanto, però ti dico, che ho già avuto un successo: quello di far spegnere la televisione per qualche sera e di aver fatto sognare.

Buona lettura!

Itinerari di viaggio musicali e sostenibili

Un'esperienza indimenticabile: arrivare al festival degli ottoni più famoso dei Balcani a bordo di un autobus locale in fiamme... Questo e molto altro se seguirete l'itinerario consigliato questo mese!

di Silvia Colomban


Con l’avvicinarsi dell’estate la voglia di viaggiare e di stare all’aperto è sempre più forte, perciò quello che vi proponiamo in questo numero è un viaggio, un festival musicale, un modo per viaggiare sostenibile: il festival degli ottoni di Guca con i mezzi pubblici!


Innanzitutto per chi non sapesse cosa fosse il festival di Guca consiglio caldamente una visita al sito: www.guca.rs

Giusto per capire l’atmosfera: un incessante ripetersi di suoni balcanici per giorni, che attraversano tutta la piccola cittadina, e balli sfrenati, tanta musica, e altrettanta rakjia! Quindi informatevi, scaricate le tracce e date un occhio alle foto, se questa follia balcanica vi ha convinto segnatevi le date: dal 5 al 9 agosto 2009!

Ma dov’è Guca!? E soprattutto, come ci si arriva?!

Considerato il periodo propizio alle ferie il consiglio è di prendersela con calma, e approfittare della bella stagione per intraprendere un viaggio che vi rimarrà in mente per molto tempo!

Da Trieste a Belgrado ci si arriva in treno o in bus, in treno prenotando in anticipo è possibile usufruire dei prezzi SMART, c’è un treno che parte da Venezia alle 21.20, passa per Villa Opicina alle 23.48 e arriva a Belgrado alle 12.25. Attenzione a salire sul vagone giusto, questo Euronight ha vagoni per Belgrado o per Budapest (ma se proprio doveste sbagliare potete sempre ripiegare sul festival ungherese Sziget!)

Un’alternativa sono i bus, da Trieste partono quattro volte a settimana bus per Belgrado, quindi non avete scuse anche se per il ritorno la partenza delle 6 a.m. da Belgrado ci pare un po’ proibitiva..

Una volta arrivati a Belgrado consigliamo una sosta in città con partenza il giorno dopo via bus per Cacek (la stazione dei bus è proprio di fianco alla stazione dei treni) e arrivati a Cacek il gioco è fatto: ultimo bus per Guca e sarete catapultati del delirio balcanico.. sembra un viaggio complicato, ma vi assicuro che arrivare così a Guca è tutta un’altra cosa, i bus sono pieni di giovani che si muovono per il festival e con un po’ di pazienza senza aspettarsi la puntualità svizzera in Serbia andrà tutto bene, poi sarete ricompensati da kg di carnazza, fiumi di birra, rakjia e musica dalla mattina alla sera! Se, una volta arrivati a Cacek non dovreste trovare un bus per Guca sappiate che con l’autostop è possibile essere caricati da simpatici furgoncini di serbi (testato anche questo) armati di trombe e tromboni che vi porteranno a destinazione in men che non si dica!

Ultimo consiglio: a Guca potete campeggiare, ma noi chiedendo in giro per le case del paese abbiamo trovato una comodissima sistemazione in camera, con una famiglia gentilissima che ci ha fatto sentire a casa dal primo momento, quindi armatevi di iniziativa e cercate stanza!

NOTA BENE: se sei vegetariano sappi che a Guca avrai vita dura, durante il festival la cittadina ha più porchi che girano sullo spiedo che abitanti, impossibile resistere!

Per il ritorno il viaggio può essere intrapreso esattamente seguendo la via dell’andata, ma se volete continuare a gironzolare per i Balcani sappiate che con il treno si riesce ad arrivare fino alle coste del Montenegro, e cosa c’è di meglio di qualche giorno di mare con la testa ancora rintronata dal suono delle fanfare? Ma di questo, forse, parleremo nel prossimo numero…

Per quelli che.......la cima non è (sempre) tutto!

Agli amanti delle meditazioni in movimento, che reputano che un pacato saliscendi favorisca un più fluido scorrere del pensiero di una ripida “ascesa al monte ventoso”, agli amanti della flora varia e prepotente o ai curiosi di Carso, consiglio un itinerario che si snoda alle pendici di uno dei più storici monti del Carso triestino, senza avere la pretesa (per questa volta...), di volerne scalare la vetta.

di Anna Sustersic


Premetto che il percorso lascia spazio a variazioni lungo via, permettendo in corsa di dar sfogo ad eventuali furori eroici dell’ultimo minuto, meditazioni precocemente concluse, desiderio di espiazione o di prova di se offrendo possibilità di ripensamento e di corsa verso la cima.

L’anello che percorreremo (per gli amanti dell’autobus: linea 44 P.zza Oberdan – Aurisina/ Linea 43 Aurisina - Ceroglie) ha il suo inizio e la sua fine nell’abitato di Ceroglie (Cerovlje), piccolo villaggio che si ripara ai piedi del monte Hermada (323 m) che in un’ora e trenta (senza fretta) di cammino riusciremo ad aggirare. Raggiunto il limite superiore del paese e lasciate alla nostra sinistra la piccola chiesa e l’ultima casa, inizieremo il nostro percorso su un ampio sterrato che pianeggiante si immerge nella boscaglia carsica. Dopo circa 10 minuti di cammino, i più attenti e fortunati faunisti potranno avere la fortuna di avvistare alcuni esemplari di bovino (tollera bene l’escursionista, specie poco aggressiva); lasceremo il pascolo alla sinistra per imboccare il sentiero numero 3. Dimenticato lo sterrato ci si immerge in un fitto bosco, che in questo tratto sembra voler inghiottire il sentiero, garantendoci la liberante sensazione di dimenticare ed essere dimenticati dal mondo. Il sentiero sale (dolcemente!!) e nell’osservare la vegetazione, che in questo tratto ci assale, troveremo un perché al toponimo del villaggio di Ceroglie (lat. cerrus) e al nome che le vecchie carte riportano, del monte Hermada (monte Querceto).

Lasciando sulla sinistra la Caverna del Monte Querceto, che si affaccia proprio sul sentiero, procederemo, ignorando qualsiasi bivio intersechi la nostra strada, fino ad assistere, con un misto di sollievo e indispettimento, al trasformarsi dello snello sentiero in uno sterrato (non molto convinto).

Scenderemo pigramente lungo la sassosa via (ancora segnata 3) godendoci (se stagionalmente fortunati) le abbondanti fioriture di peonie, iris, e delle numerose orchidee a cui strano contrasto offrono i resti delle trincee che per un tratto correranno non distanti dalla nostra via. Continueremo lungo questo sentiero (la cui autoconsapevolezza di “sterrato” si rafforza progressivamente) fino ad imbatterci, in un’inattesa e non ben contestualmente collocabile (ancora presi e persi in quel “dimentichi del mondo”) rovina di abitato. Asseconderemo la curva a sinistra che la strada in questo punto fa, assistendo alla sua trasformazione, poco dopo, in percorso asfaltato.

Text Box: Foto  A. Sustersic
Ci lasceremo scendere (bello in bici!!!) coccolati dalla comodità del percorso, ma non così adagiati nel piacere dell’ambiente da non notare ad un certo punto, sulla sinistra, un vecchio cartello arrugginito, e un numero 8 su un albero che ci inviteranno a svoltare ancora a sinistra, sull’ennesimo sterrato. Non più boscaglia fitta ma “rassicurante” alternarsi di radure e ombreggiamenti non più così incalzanti accompagneranno, ormai con animo e corpo rinfrancati, il nostro re-ingresso a Ceroglie. E se avremo fatto tutto nel migliore dei modi, ci troveremo a sbucare proprio nei pressi di un’azienda agricola (Kmetija) che in alcuni fortunati giorni (lun-merc-ven) in alcuni fortunati orari (17-19) sarà in grado di compensare lo sforzo compiuto con uno dei migliori formaggi (personale parere empiricamente acquisito!!!) prodotti sul Carso (ma la troveremo facilmente anche se avremo fatto tutto “diversamente bene”!)!!! Con pancia e spirito appagati potremmo ancora rivolgere un pensiero generoso alla gola, offrendole ristoro (se siamo di qualche veicolo muniti) in una delle numerose osmize di cui i vicini paesi di Malchina, Visogliano o Slivia non sono avari (sempre che non sia Ceroglie stessa a venirci incontro...); o...avendo raggiunto così il culmine della soddisfazione, termineremo la nostra meditazione in movimento godendoci un piacevole viaggio sulla 43....verso nuove mete.

Si migra un po’ per poter vivere - 1

Circa 4 milioni i cittadini italiani che vivono all’estero. E 3.4 milioni gli stranieri che si sono trasferiti in Italia. Per studiare, per lavorare, per trovare nuove possibilità. Due storie a confronto, per raccontare quanto sia simile (e diverso) trasferire la propria vita in un altro paese.

Text Box: Foto  S.LibralatoInterviste di Valentina Daelli


Nome

Arianna

Origine

Milano, Italia

Età

27 anni

Trasferita a…

Berlino, Germania

Da quanto tempo?

3 anni

Per lavoro o per studio?

Prima per uno stage, poi per studio, poi per lavoro.

Che cosa hai studiato prima di trasferirti?

Laurea in lingue e master in studi europei.

Conoscevi la lingua?

Sì.

Ci sono dei corsi di lingua per stranieri organizzati dal comune o da altre organizzazioni (università, etc.)?

Sì, dal comune.

Sono previsti degli aiuti per chi si trasferisce?

Borse di studio apposite per gli studenti stranieri, e diversi sussidi a cui possono accedere anche gli stranieri, in quanto residenti in Germania: per esempio un sussidio statale per l'affitto, o un sussidio minimo mensile se si è disoccupati. Per quanto riguarda gli aiuti non finanziari, ci sono i corsi di integrazione gratuiti (lingua, educazione civica, storia tedesca).

Quanto tempo ci hai messo ad avere il permesso di soggiorno?

Comunità europea, non serve.

Dopo quanto tempo potresti avere la residenza?

La residenza l’ho già (bastano 3 mesi), invece per la cittadinanza servono 8 anni.

Potresti votare? Vorresti votare?

Posso votare per i candidati tedeschi alle europee, per le elezioni locali (comune e quartiere) e per alcuni referendum. Dato che pago una marea di tasse...sì vorrei votare eccome anche alle politiche!

Ti consideri inserita nella vita locale? Frequenti autoctoni?

Sì, è molto facile inserirsi nella vita berlinese. Frequento molti tedeschi, anche se ne frequentavo di più quando studiavo.

Come giudichi l'atteggiamento dei locali rispetto agli stranieri?

In generale tollerante, ma dipende molto dai quartieri e dal bagaglio culturale (berlinesi dell'ovest in genere molto più aperti di quelli dell'est).

Quanto giudichi difficoltoso il trasferimento?

Per me è stato davvero facile, ma vedo che per molti che arrivano senza sapere la lingua, le cose sono molto complicate.

Se potessi tornare indietro, lo rifaresti?

Assolutamente sì!

Consiglieresti ad altre persone di trasferirsi in questa città?

Dipende dal tipo di persona, di solito è una città che o si ama o si detesta.

Vorresti tornare nel tuo paese?

Per ora no, ma non escludo di farlo nel futuro.

Quanto è probabile che effettivamente tu possa tornare a breve?

Per nulla probabile. Ci ho messo troppo tempo a liberarmi della mentalità milanese e non ho intenzioni di tornare a contatto con essa. Forse potrei vivere in Italia in un'altra città, ma in ogni caso non fino alle prossime elezioni.

Qualche motivo per cui ti dispiace aver lasciato il tuo paese?

La famiglia e gli amici di vecchia data, il fatto di poter uscire da Milano e trovare in poco tempo paesaggi bellissimi.

Qualche motivo per cui sei contenta di aver lasciato l'Italia?

Adoro essere straniera in un paese e la curiosità che ti si crea intorno, riesco a vivere lavorando part-time e quindi ho un sacco di tempo per coltivare i miei interessi, conosco ogni giorno persone da ogni dove con esperienze incredibili alle spalle che mi arricchiscono tantissimo...potrei continuare all'infinito.

Un vantaggio del paese in cui vivi rispetto al tuo paese d’origine? Uno svantaggio?

Vantaggio: il senso civico e il rispetto per gli altri.

Svantaggio: lo so, è molto banale, ma...il sole e il caldo. La metereopatia e il malumore che ne può scaturire sono una cosa terribile! E poi l'assicurazione sanitaria, in Germania è carissima.

La cosa più piacevole che hai trovato?

L'apertura mentale della società berlinese (non tanto dei berlinesi, quanto in generale della gente, tedesca e non, che si trasferisce qui), l'assenza di pregiudizi, la gente per strada a qualsiasi ora del giorno e della notte, il basso tasso di criminalità e quindi l'assenza di paura e paranoia dell'"altro".

Si migra un po’ per poter vivere - 2

Nome

Athena

Origine

Teheran, Iran

Età

27 anni

Trasferita a…

Trieste, Italia

Da quanto tempo?

3 anni

Per lavoro o per studio?

Per studio.

Che cosa hai studiato prima di trasferirti?

Ingegneria biomedica e ingegneria elettrica.

Conoscevi la lingua?

No

Ci sono dei corsi di lingua per stranieri organizzati dal comune o da altre organizzazioni (università, etc.)?

Sì, ma non li ho seguiti.

Sono previsti degli aiuti per chi si trasferisce?

Sfortunatamente, no.

Quanto tempo ci hai messo ad avere il permesso di soggiorno?

Gli studenti devono rinnovare il permesso di soggiorno ogni anno. I tempi sono variabili, nel mio caso da 2 mesi a più di un anno.

Dopo quanto tempo potresti avere la residenza?

Per chiedere la residenza permanente, servono 6 anni di esperienza di lavoro in Italia. Purtroppo il dottorato non è incluso. Per chiedere la cittadinanza, devono essere passati 10 anni, ma la procedura può richiedere fino a 7 anni.

Potresti votare? Vorresti votare?

Ora non posso votare, essendo straniera. Vorrei poterlo fare. Mi piace sentirmi parte della società in cui vivo e preoccuparmi degli eventi che la caratterizzano. E’ bello conoscere l’atmosfera politica della società in cui si vive e prenderne parte attivamente.

Ti consideri inserita nella vita locale? Frequenti autoctoni?

Abbastanza inserita. Frequento anche studenti italiani, ma Trieste è una città piuttosto “vecchia”, non e’ facile sentirsi del tutto inseriti.

Come giudichi l'atteggiamento dei locali rispetto agli stranieri?

Personalmente, ho trovato un atteggiamento amichevole.

Quanto giudichi difficoltoso il trasferimento?

Essere un immigrante ha molti aspetti positivi e negativi. Ci si sposta per avere migliori possibilità, e da questo punto di vista ho avuto molto. Tuttavia, “scappare” dal proprio paese porta molta malinconia, sarebbe stato più facile se fosse stata una scelta più libera, se potessi tornare in Iran quando volessi.

D’altra parte, essere una ragazza non-italiana, non-europea, non-cristiana, non-occidentale, comporta talvolta anche un senso di esclusione, ad esempio da eventi e festività che non mi appartengono.

In generale, più liberale e aperto è un immigrante, meno conflitti dovrà affrontare lasciando il proprio paese.

Se potessi tornare indietro, lo rifaresti?

Tra i paesi che ho visitato, l’Italia è tra i miei preferiti. Se dovessi cambiare, sarebbe per non dover affrontare i problemi della burocrazia per l’immigrazione, le difficoltà e i tempi lunghi per il permesso di soggiorno e la residenza. Inoltre, mi dispiace che la libertà di cui si può godere in Italia non dia vita a una vera protesta politica.

Consiglieresti ad altre persone di trasferirsi in questo paese?

Sì, se si risolvessero i problemi del permesso di soggiorno.

Vorresti tornare nel tuo paese?

Vorrei tornare se la situazione cambiasse, se le condizioni sociali e politiche migliorassero.

Quanto è probabile che effettivamente tu possa tornare a breve?

Improbabile, almeno per i prossimi 5 anni. Per la mia carriera accademica, devo fare più esperienza all’estero. Per la mia vita personale, al momento non ritengo appropriato tornare in Iran.

Qualche motivo per cui ti dispiace aver lasciato il tuo paese?

E’ triste lasciare i familiari e avere poche possibilità di incontrarli. D’altra parte, mi chiedo cosa possa cambiare in Iran se tutte le persone che potrebbero fare qualcosa lasciano il paese.

Qualche motivo per cui sei contenta di aver lasciato il tuo paese?

L’esperienza di vivere in una società liberale è il maggior guadagno per me.

Un vantaggio del paese in cui vivi rispetto al tuo paese d’origine? Uno svantaggio?

Vantaggi: sono molti. L’Italia è un paese libero, le persone hanno una mentalità aperta. Le persone sanno rispettare gli altri, la loro mentalità e il loro stile di vita. L’Italia ha lottato per avere libertà di parola, di religione, di opinione. In Iran dovrei censurarmi per sopravvivere nella società. Inoltre, mi sembra che, rispetto all’Iran, l’Italia sia più regolata da leggi che da relazioni e benefici personali. Le persone sono valutate per le loro qualità più che per la vicinanza ideologica al governo.

Svantaggi: sembra ridicolo, ma nonostante la censura i programmi televisivi in Iran sono di gran lunga migliori di quelli italiani! Si possono trovare più programmi culturali e scientifici rispetto all’Italia. Anche la burocrazia è meno problematica in Iran.

La cosa più piacevole che hai trovato?

Per la natura e la cultura, ho amato molto stare in Italia, una terra che ha visto la cultura romana, il Rinascimento. Il gusto per l’arte si percepisce ovunque. Inoltre, gli italiani hanno un atteggiamento caldo, accogliente, mi sento a mio agio con loro.

Apprezzo anche il senso di auto-critica degli italiani, verso la politica, il governo, gli stili di vita. Quando parlo dei problemi dei fondamentalisti che governano l’Iran, è bello sentire qualcun altro che si lamenta anche dei propri problemi piuttosto che accusare soltanto il mio paese. Nonostante ciò, questo alto livello di auto-critica sembra essere anche svantaggioso.

Da dove viene Mandela…

Cronache di un esperimento reale di conoscenza e integrazione. Due italiani emigrati per studio in Sud Africa ci raccontano come vedono il paese che li ospita e come cercano di capirlo.

di Annalisa Boscaino e Marco Regis


Si parla spesso tra di noi di ciò che vediamo in questo paese, cercando di analizzare il perché degli atteggiamenti dei suoi abitanti, capire qual’e’ stata la loro storia e, in questo modo, da dove vengono.


Perché è molto intrigante – e anche un po’ inaspettato - osservare la pacifica convivenza tra bianchi, neri, indiani e meticci (i cosiddetti coloured) che condividono oggi tutto con una naturalezza che fino a un decennio fa non gli era permessa e capire da dove ricevono tutta questa forza di reagire a delle circostanze storiche (e di storia recente) terribili e non giustificabili; vediamo che il sentimento comune di chi arriva per la prima volta a Cape Town – che e’ stata anche il nostro del resto – e’ di stupore: la domanda più frequente e’ come mai queste persone (e parlo qui dei neri) non sono rabbiose e incattivite da più di un secolo di arroganze e violenze nei loro confronti.

Generalmente, per percorrere questa strada, ci sono varie possibilità: o incontrare qualcuno che abbia la voglia di renderci partecipe con i suoi racconti o confrontarsi quotidianamente con gli autoctoni, avendo un orecchio sempre teso a carpire le varie dinamiche o ancora leggere i libri di storia.

La prima possibilità per ora ci e’ preclusa per almeno due motivi: Cape Town e’ grande, ha 3 milioni e mezzo di abitanti e non e’ facile trovare quella “dolce” condizione da piccolo villaggio dove c’e’ sempre la mitica figura di un santone seduto davanti a qualche bar pronto a raccontarti “quanto si stava meglio quando si stava peggio”, senza poi contare l’ostacolo della lingua.

Text Box: Foto  A. Boscaino & M. RegisText Box: La spiaggia di Cape Town in una giornata con condizioni meteo non perfette. In basso a sinistra l’abitazione degli inviati all’estero di VolentieriLa seconda invece e’ quella più a portata a mano: a cominciare dal mattino in treno fino alla sera al locale jazz sotto casa, cerchiamo di interrogare, ipotizzare, osservare quanto più possibile, incuriositi dagli atteggiamenti, desiderosi di trovare le differenze ma soprattutto le affinità, che, nonostante siamo a testa in giù, esistono e forse ci fanno sentire un po’ più a casa.

Infine la terza ipotesi: poiché non si finisce mai d’imparare, come direbbe il santone del bar, abbiamo intenzione di leggere e leggere, ampliando la nostra – scarsissima- cultura sudafricana.

E’ infatti evidente quanto poco sappiamo di questa terra e quanti pregiudizi ci siamo portati dietro dall’Italia! Abbiamo impiegato circa due mesi per scrollarci di dosso infondate paure di violenze, attacchi ai bianchi e via dicendo…

Il primo libro che ci siamo ritrovati a leggere per raggiungere questo nobile scopo e’ “Lungo cammino verso la libertà”, l’autobiografia di Mandela. Pur non scendendo nello specifico dei fatti e’ servito molto ad iniziare a figurarci il quadro storico generale del Sud Africa, dal 1919 (anno di fondazione dell’African National Congress) ai nostri giorni.

Racconta quali sono state le ragioni che hanno visto nascere l’ANC e poi le cause che hanno portato al morbo dell’apartheid ma soprattutto racconta cosa ha spinto i cittadini a ribellarsi e infine a vincere contro l’oppressore.

Mandela qui e’ considerato (a ragione) un eroe, tutti lo adorano, anche il più “incorreggibile” dei bianchi, ma non sarebbe quello che e’ senza la morte – come del resto accade in qualunque guerra che si rispetti – di centinaia di migliaia di suoi concittadini.

E’ stato emozionante leggere questo libro, credo che emozionerebbe chiunque leggerlo ma forse per noi ha assunto un significato più particolare e più intimo perché lo abbiamo letto proprio qui, dove tutto si e’ svolto.

Ne riporto solo un passo, ce ne sarebbero in realtà molti che vorrei riportare ma forse e’ quello che segue racchiude più di tutti la fatica di questo paese nella sua lotta di liberazione e sottolinea la grandezza d’animo di Mandela:

Non sono nato con la sete di libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio, di arrostire pannocchie sotto le stelle, di montare sulla groppa capace dei lenti buoi. Finché ubbidivo a mio padre e rispettavo le tradizioni della mia tribù, non ero ostacolato da leggi divine ne’umane.

Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione, che la vera libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quando ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo. Più tardi a Johannesburg, quand’ero un giovane che cominciava a camminare sulle sue gambe, desideravo le fondamentali e onorevoli libertà di realizzare il mio potenziale, di guadagnarmi da vivere, di sposarmi e di avere una famiglia, la libertà di non essere ostacolato nelle mie legittime attività.

Ma poi lentamente ho capito che non solo non ero libero, ma non lo erano neanche i miei fratelli e sorelle; ho capito che non solo la mia libertà era frustrata, ma anche quella di tutti coloro che condividevano la mia origine. E’ stato allora che sono entrato nell’African National Congress, e la mia sete di libertà personale si e’ trasformata nella sete più grande di libertà per la mia gente.

Text Box: Foto  S. LibralatoE il desiderio di riscatto della mia gente – perché potesse vivere la propria vita con dignità e rispetto di sé – ha sempre animato la mia vita, ha trasformato un ragazzo impaurito in un uomo coraggioso, un avvocato rispettoso delle leggi in un ricercato, un marito devoto alla famiglia in un uomo senza casa, una persona amante della vita in un eremita.

Non sono più virtuoso e altruista di molti, ma ho scoperto che non riuscivo a godere nemmeno delle piccole e limitate libertà che mi erano concesse sapendo che la mia gente non era libera. La libertà e’ una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti e le catene del mio popolo erano anche le mie.

Il Sud Africa post-Mandela che ci si presenta oggi e’ un paese a metà strada tra terzo mondo ed occidente, con tutte le contraddizioni a cui questa strana alchimia può portare: non dico a caso terzo mondo, perché qui e’ ancora possibile sentire le dichiarazioni sconcertanti di un candidato premier che sconfigge la minaccia AIDS facendosi una doccia dopo un rapporto a rischio…e’ agghiacciante e ed e’ esattamente una notizia da terzo mondo.

E’ tangibile una sottile linea rossa di sviluppo: due Sudafrica che corrono parallelamente, su binari sfalzati di almeno 50 anni. Da una parte, scintillanti centri commerciali che farebbero impallidire un Lafayette parigino, macchinoni con motoscafi al seguito di allegre famigliole (biondissime e bianche), movida nelle strade fino a notte fonda, atelier di giovani stilisti nel centro città, campi da golf perfettamente rifiniti, villoni da restare senza parole…tutto come se fosse Europa (e anche di più).

Poi, prendi la macchina, esci poco fuori da Cape Town e comincia lo scenario desolante delle township..raggruppamenti di casupole dal tetto di lamiera, senza servizi igienici, senza luce e polverose (e figuriamoci se ci sono le strade asfaltate).

Eppure, in questi luoghi la gente va avanti, anzi in alcuni casi vive felice: come si legge infatti nel libro, pare che alcune township – in particolare quella di Soweto (South Western Township, alla periferia di Johannesburg) forse la più famosa - siano state i luoghi più animati e colorati di questo paese e, al tempo dell’apartheid, erano i centri di diffusione culturale e politica più attivi. Evidentemente sono luoghi a noi bianchi preclusi, e’ possibile però visitarle, pagando una persona del posto che per pochi euro fa da guida; chi c’e’ stato ce ne parla con entusiasmo: vai li, la guida ti presenta i suoi amici, ti bevi una birra in casa di queste persone, chiacchieri, tutti tranquilli…

Questo e’ l’incomprensibile Sudafrica.

Ma del resto e’ chiaro, e’ appunto come se fosse appena terminata una guerra durata 100 anni - il 27 aprile del 1994 e’ la data delle prime elezioni non razziali e a suffragio universale del paese - e ora il Sudafrica deve ricostruirsi. Anzi per essere appena uscito da una situazione così difficile, sta reagendo fin troppo bene.

Si tocca infatti con mano la voglia di questo paese di farsi valere, nonostante le sue contraddizioni e le sue motivate lentezze, di uscire da un torpore scomodo.

Quello che vediamo tutti i giorni ci piace, ci rilassa (certo, non sempre!): la gente e’ in generale contenta, cortese, originale, per niente stereotipata. Cerca di distinguersi in tutti i modi (soprattutto per le acconciature stravaganti, bisogna dirlo..).

E poi hanno delle ricchezze naturali infinite: paesaggi smisurati, flora e fauna unica, parchi nazionali meravigliosi (praticamente ogni trenta chilometri), qui puoi trovare babbuini, struzzi, antilopi in libertà e ammirarli da vicinissimo, sotto un cielo sempre azzurro e alle pendici di montagne maestose..bello davvero.

Il 22 aprile scorso ci sono state le elezioni.

La campagna elettorale e’ stata particolarmente massiva, soprattutto da parte dell’ANC –che poi alla fine ha vinto.

I risultati di questa elezione probabilmente noi non li vedremo (due anni sono decisamente pochi per un paese come questo, con i suoi tanti troppi problemi – soprattutto di salute - che ha ancora).

Abbiamo notato tanta demagogia e tante belle promesse (nessuna differenza con quanto siamo abituati a vedere dunque!), però abbiamo notato anche tanto colore, vivacità, insomma chiamiamola passione!

Vi terremo aggiornati.

Ciclo e riciclo

Non tutte sanno che...esistono sistemi molto più ecologici, convenienti e comodi degli assorbenti usa e getta.

di L.S.


Lanci col paracadute, acrobatiche ruote, assorbenti volanti e palloncini rossi. In effetti non ho mai capito perché la pubblicità ci abbia abituate a vivere una cosa perfettamente normale come fosse un numero da circo. Tutta pubblicità, poi, che ci induce a comprare dei prodotti altamente inquinanti, che ogni mese vengono rilasciati nell’ambiente e che si degradano in centinaia di anni. Donne, avete mai pensato che è possibile fare qualcosa di ecologico anche durante il ciclo mestruale?

Esistono in commercio, anche se ovviamente non sono pubblicizzati, ben dagli anni ‘30: si tratta dei cosiddetti keeper. Sono coppette sagomate fatte di gomma, latex o silicone antiallergico che, una volta indossate all’interno della vagina, raccolgono il sangue mestruale.

Si svuotano alcune volte al giorno, a seconda delle esigenze, e alle fine del ciclo non si buttano via: un'unica coppetta può durare fino a dieci anni! Visto che il prezzo medio di una coppetta è di circa 30 euro, si fanno presto i conti in termini sia di risparmio che di chili e chili di ‘munnezza in meno dispersa nell’ambiente!

Fino ad oggi non è stata dimostrata alcuna controindicazione all’uso di keeper, specie di quelli in silicone. Io mi trovo benissimo ed ho cominciato a consigliarlo a varie donne che conosco e che sono a loro volta entusiaste. Per sicurezza ho anche provato a fare una ricerca in internet per raccogliere alcuni pareri e devo dire che praticamente tutti i commenti sono più che favorevoli. Ovviamente in caso di dubbi è meglio comunque rivolgersi al proprio ginecologo.

Da ultimo volevo farvi riflettere sul fatto che l’uso della coppetta cambia il modo con cui concepiamo le mestruazioni: culturalmente esse vengono di solito rifiutate e viste come qualcosa di vagamente schifoso, che rendono la donna in un certo senso “impura” e di cui è meglio non parlare. Avete mai pensato che quello mestruale è l’unico sangue che esce dal nostro corpo in modo non violento? In alcune religioni esso era considerato sacro, in quanto legato alle fasi lunari e alla capacità della donna di procreare. Niente paura, non mi metterò a scrivere un trattato di antropologia sulla figura femminile nella storia: quello che voglio dire è semplicemente che l’utilizzo della coppetta aumenta la confidenza con il proprio corpo e secondo me riporta il ciclo ad essere trattato come una fase naturale verso cui non bisogna provare repulsione. Credetemi: succede!

Esistono vari tipi di keeper in commercio; tutti si possono ordinare via internet. Ecco alcuni link:

http://www.mooncup.com/

http://www.lunette.fi/it/index.php?id=67 (versione finlandese)

http://www.labottegadellaluna.it/moon_c.html

Una nuova vita per i nostri rifiuti

Avete mai pensato che l’oggetto che stavate gettando nel cassonetto poteva essere utile ad altri, ma non sapevate come fare? Qualcuno ci ha pensato e ha trovato una soluzione. Il gruppo artistico Publink lancia il cassonetto-vetrina: un'idea per ridare vita agli oggetti scartati. E funziona!

di Francesca Petrera


Disfarsi degli oggetti che non ci servono più mettendoli in vetrina, in modo che qualcun altro possa raccoglierli e utilizzarli, in una nuova forma di baratto moderno e un’alternativa alla discarica. È quanto si propone Rifiuto con affetto, un’iniziativa nata nel 2007 che s'ispira a un'idea semplice: rimettere in circolo gli oggetti che non usiamo più, invece di gettarli via. L'originalità dell'iniziativa non sta nello scopo, bensì nel mezzo: un elegante cassonetto dalle ante trasparenti, dove gli oggetti rifiutati giacciono in bella vista su mensole, come in una vetrina. Un design essenziale e pratico per uno scambio facile e diretto.

Non a caso a ideare il progetto è stato il gruppo artistico Publink, composto da Roberta Bruzzechesse, Maddalena Vantaggi e Maria Zanchi, tre artiste laureate all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (Iuav). Publink è un gruppo artistico che si propone di indagare le potenzialità del linguaggio dell'arte, esplorando i confini tra spazio pubblico e privato, tra collettività e individuo, nella realtà quotidiana.

Il progetto è nato all'interno di un laboratorio di arti visive allo Iuav.

“Eravamo colpite nel vedere oggetti posizionati con molta cura accanto ai cassonetti. Constatando una certa sensibilità tra i cittadini, abbiamo deciso di lavorare su quest'aspetto, proponendo un progetto che legittimasse una pratica già diffusa”, riferiscono le tre ideatrici di Rifiuto con Affetto.

Per mesi hanno lavorato sull'idea che sembrava rispondere in modo semplice ad un bisogno dei cittadini. La sperimentazione pilota è partita grazie al sostegno di Pierantonio Belcaro, assessore all'Ambiente del comune di Venezia, che ha fornito un primo finanziamento. Successivamente è arrivato l'appoggio anche della società Vesta, incaricata della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti a Venezia.

Tre cassonetti sono stati collocati nell'isola della Giudecca per verificare una prima risposta dei cittadini all'iniziativa.

Il successo di un progetto di questo tipo richiede la partecipazione attiva dei cittadini, per questo si è cercato di coinvolgere gli abitanti della zona, spiegando come funziona Rifiuto con Affetto, utilizzando i canali della comunicazione del Comune: conferenza stampa, manifesti e volantini.

Nei mesi successivi è stato monitorato l’andamento dei cassonetti e sono state fatte delle interviste alle persone (disponibili sul sito www.rifiutoconaffetto.it ). Il dato più rilevante è che la cittadinanza ha accolto con entusiasmo il progetto già dal secondo giorno, confermando che l’idea rappresentava la risposta ad un bisogno effettivo.

Nel cassonetto viene messo di tutto. Molti vestiti, borse, scarpe, componenti elettroniche, elettrodomestici, soprammobili, giocattoli, libri, oggetti con messaggi indirizzati al futuro proprietario.

Il cassonetto ha un livello di lettura sia ecologico che sociale: oltre a diminuire la quantità di rifiuti da smaltire, rimettendo in circolazione oggetti ancora utilizzabili, è diventato un vero e proprio punto d'incontro tra persone che adottano Rifiuto Con Affetto come una nuova abitudine.

Il primo cassonetto in metallo è stato modificato, ponendo l'attenzione, non solo sulla funzionalità, ma anche sull'estetica, per creare un oggetto di design che meglio si collocasse nell’ambiente cittadino, come un elemento di arredo urbano. Inoltre il cassonetto così progettato si presta anche ad entrare in spazi diversi come: scuole, biblioteche, centri di aggregazione e spazi famiglia. Il cassonetto di Rifiuto con affetto è un oggetto bello che trasmette un bel messaggio.

Oggi i cassonetti sono attivi in tre città: Venezia, Mestre e Rovereto. Nuovi cassonetti sono stati inaugurati a Codroipo, ma ancora non sono operativi.

Ma questi sono solamente i primi esempi di diffusione del progetto, Publink ha infatti lanciato una nuova iniziativa: "Porta Rca nella tua città", per permettere la diffusione del nostro progetto a nuove realtà cittadine. Lo scopo è di diffondere il più possibile l’utilizzo del cassonetto di Rifiuto con Affetto, inserendolo anche in un contesto privato, oltre a quello urbano, installando i cassonetti anche in condomini, scuole, biblioteche e centri commerciali.

“Ci piacerebbe organizzare dei laboratori didattici nelle scuole per comunicare ai bambini e ai ragazzi la filosofia di Rifiuto con affetto”, afferma Maria Zanchi, “Riflettere con i ragazzi sul consumismo, gli sprechi e la sostenibilità”.

Una risposta concreta al problema casa

Avere una casa di proprietà rimane un sogno per i molti della “fascia grigia” che non possono permettersi di sostenerne i costi. Tuttavia c’è una soluzione, non banale, ma neppure impossibile: l’autorecupero e l’autocostruzione (raccontati a puntate).

di Stefano Querin


In effetti, Carlo, qualche problema con la casa ce l’aveva…

Una borsa di studio all’università, qualche risparmio messo da parte con dei lavoretti qua e là, e un affitto di 400 euro al mese! Poter sperare di comprarsi una casa tutta sua, nella città in cui vive e con i prezzi disponibili sul mercato, era un vero miraggio. E allora? Andare avanti tutta la vita in affitto? Cambiare città? Abbandonare gli studi e trovarsi un lavoro più remunerativo? Attendere un crollo del mercato immobiliare?

Ecco, Carlo potrebbe proprio essere il protagonista ideale di una storia, fatta di problemi, idee e soluzioni. E fatta di tante persone che come lui non hanno i mezzi economici sufficienti per poter comprarsi la propria casa a prezzo di mercato ma che, d’altro canto, non rientrano nelle graduatorie per l’edilizia sovvenzionata/convenzionata. Una “fascia grigia” di persone che in qualche modo deve arrangiarsi: famiglie monoreddito, lavoratori in cassa integrazione, immigrati con stipendi bassi…

La storia, dunque, è quella di un gruppo di persone che sente sulla propria pelle l’”emergenza abitativa” di cui tanto si parla e si scrive su televisione e giornali. Una possibile soluzione a questo loro problema sono le pratiche di autocostruzione/autorecupero assistito.

In estrema sintesi, ci si fa la casa da soli! In pratica, l’iter è molto più articolato e complesso, e coinvolge figure e competenze molteplici: sociali, tecniche, istituzionali, amministrative.

Alla fine del processo, gli autocostruttori/autorecuperatori avranno la propria casa nuova ad un prezzo che mediamente si aggira intorno al 50-60 % del prezzo di mercato. Dov’è il trucco? Non c’è nessun trucco, ma solo l’impegno e la volontà di dover fare il muratore, il manovale, l’impiantista durante il tempo libero e nei fine settimana. Del resto si sa: “l’autocostruzione/autorecupero non fa sconti a nessuno” (Arch. Dario Piatelli, associazione Alisei - ONG)!

A Trieste le persone che non possono permettersi una casa propria di certo non mancano. Mancano in effetti gli spazi per costruirne di nuove ma, soprattutto, c’è una gran quantità di alloggi sfitti in moltissime zone della città. E’ quindi normale pensare ad interventi di autorecupero assistito.

Per promuovere tali interventi in tutta la Regione, l’ARCI e l’associazione Ingegneria Senza Frontiere ONLUS di Trieste stanno realizzando due progetti per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica (Progetto LEGO) e la formazione di professionisti e volontari su queste tematiche (Progetto AUTO-SOLIDALE). L’attività è svolta in collaborazione con le associazioni Alisei e Kallipolis e con la cooperativa Lybra, che da anni si occupano di ambiente urbano, sviluppo sostenibile e diritto alla casa.

Il progetto LEGO (Laboratori E Giornate per la sOlidarietà) mira a promuovere la cultura della solidarietà attraverso l’informazione ed il coinvolgimento dei cittadini della Regione Friuli Venezia-Giulia sulle pratiche di autocostruzione e autorecupero per l’edilizia abitativa.

Con il progetto “AUTO-SOLIDALE” s’intende formare i volontari delle associazioni ed i professionisti interessati sulle tematiche della solidarietà e del sostegno sociale, con particolare riguardo all’ambiente abitativo urbano ed al diritto alla casa.

I volontari del progetto LEGO saranno presenti alla prossima edizione di BIOEST a Monfalcone, il 23 e 24 giugno. Il corso “AUTO-SOLIDALE” inizierà in autunno.

Alcuni programmi TV e Radio su autocostruzione, social housing e dintorni:

- servizio di Report sull’autocostruzione(7 minuti) - www.rai.it/

- Il Terzo Anello - Radio3 Scienza. "Per piccina che tu sia" sul social housing - www.radio.rai.it/radio3/



GLOSSARIO delle BUONE IDEE

Baratto: il baratto è un'operazione di scambio di beni o servizi fra due o più soggetti (individui, imprese, enti, governi, ecc.) senza uso di moneta.

Riciclaggio dei rifiuti: insieme delle strategie per recuperare materiali dai rifiuti, riutilizzandoli invece di gettarli in discarica o bruciarli nell’inceneritore. Il riciclaggio previene lo spreco di materiali potenzialmente utili, riduce il consumo di materie prime, e riduce l'utilizzo di energia, e conseguentemente l'emissione di gas serra. Il riciclaggio è un concetto chiave nel moderno trattamento degli scarti ed è un componente insostituibile nella gestione dei rifiuti.

Autocostruzione: tipologia di intervento che prevede la costruzione ex novo di alloggi.

Autorecupero: analogo all’autocostruzione, ma mirato al restauro di immobili già esistenti.

Assistito: il termine sta ad indicare che i futuri proprietari degli alloggi mettono la loro manodopera ma vengono coordinati e guidati da professionisti del settore (architetti, geometri, ingegneri, impiantisti…).

Materiale in trasformazione

Perchè tutto quello che sembra ormai obsoleto può essere trasformato in qualcosa di utile…con creatività! Idee pratiche per il recupero, riutilizzo e riciclo di meteriali da cassonetto. E chi è più creativo più risparmia!

di Simone Libralato e Marzia Piron

Si tratta di un bancale (uno di quelli utilizzati comunemente per il trasporto di alimenti o materiali per l’edilizia)! L’avreste mai detto?

A quanto pare le varie ditte di trasporto riutilizzano sempre i bancali, ma quando sono rovinati finiscono nella spazzatura. Tuttavia con un seghetto, un martello e dei chiodi è stato facile trasformarlo in un contenitore per le piante aromatiche da mattere in terrazza: bello e utile.

L’insostenibile pesantezza della musica

Intervista con Francesco Noiz, dj e direttore artistico di un rock club per capire cosa vuol dire eco-compatibile in campo musicale.

Francesco Noiz rilascia un’intervista a Volentieri

Ciao Francesco, quello della sostenibilità della musica è un argomento che ti sta molto a cuore, ma come è nato questo interesse e cosa ti ha spinto a indagare a fondo l'aspetto eco/etico del mondo musicale?

Non devo andare molto indietro con i ricordi per avere un’immagine chiaroscurale del rapporto fra musica e ambiente.

Inizi del 2004: gli U2, gruppo che ha costruito la sua fama e la sua fortuna anche sull’impegno profuso in battaglie umanitarie/ecologiste, salpano su un vascellone Green Peace per un viaggio lungo il Rio Delle Amazzoni.

Lo scopo è quello di centrare l’attenzione dei media sulla deforestazione subita dalle aree pertinenti al fiume: il più grande polmone del pianeta.

Bene…qualche mese dopo esce il nuovo disco degli U2. In serie limitata (3.500.000 copie) si potrà acquistare il prodotto con allegato un booklet con fotografie, testi e alcune interpretazioni artistiche degli stessi realizzati da Bono.

Sono 48 pagine di carta superlucida non riciclata con i disegnini della luna e del sole, di lui e i suoi demoni e di pose di ‘sti quattro nani. In calce: “Join Green Peace”.. una divinità zoomorfa mi invase i pensieri.

L’anno dopo il Live Aid: una parata di stars su 10 palchi in tutto il mondo pronte a cantare di sofferenze, di malattie e di fame.. poi tutti ai vari afterparty costati sui 2 milioni di euro (Snoop Dogg si era preso avanti.. 300.000 $ di shopping londinese nel pomeriggio..Madonna è salita sul palco con una parure da 280.000 euro mano nella mano con una piccola korogochana sieropositiva.. dalla poltrona la incitavo: “Dài.. ancora un passetto ed è sul bordo del palco.. dalle una spintina, DAGLIELA!!”).

E non c'è stato un momento in cui hai pensato: qualcosa può cambiare? E' veramente tutto così buio?

2007, l’anno del megaevento del LiveEarth: otto città, 150 artisti.. quel giorno ero veramente, veramente infastidito. Possibile che non ci sia una voce contro? Non al fine, al mezzo..


Me ne sto lì a smerigliarmi il malumore quando sul web trovo: I MUSE NON PARTECIPERANNO AL LIVE EARTH. DAL LORO SITO: “TROVIAMO INCOERENTE LO SCOPO DEL CONCERTO CON TUTTI GLI SPRECHI DI ENERGIA CHE L’EVENTO COMPORTERÀ. SOLO PENSANDO ALL’INQUINAMENTO CHE PRODURRANNO I JET PRIVATI SI DOVREBBE PENSARE ALLA NON COERENZA DELL’OPERAZIONE STESSA”.

Provo un forte, fortissimo sollievo..

Non pensate male: non sono un fissato-criticone-cieco.. so bene che, troppo spesso purtroppo, per dare rilevanza a un problema, occorre alzare la voce, aumentare le risorse, “accettare” un vizio di forma. Ci sto..ma quando questo, de facto, sconfina nell’ipocrisia non ci vedo più.

In un mondo come quello musicale, che di fatto si sta sempre più accorgendo dell'importanza dell'impatto visivo, del multimediale, dell'apparire, credi ci siano delle valide alternative? Verso che direzione è meglio muoversi?

La prima alternativa è il web. Pensiamo se gli stessi eventi che ho citato fossero stati realizzati e prodotti esclusivamente in streaming su internet. Locations e palchi ridotti, ingressi numerati e a pagamento (pro bono), gestione del portale di trasmissione con ricarico fondi dedicati alla causa per ogni accesso, selezione delle partnerships pubblicitarie (non come alle dirette dei concerti della FAO con spot della Fiesta in mezzo: “…e a un certo punto, non ci vedo più dalla fame...” subito dopo appello di Kofi Anaan ai grandi della terra).

Da qualche tempo, a guardar bene, ci si sta muovendo lungo una strada e una coscienza differenti.

Complice la tensione al rinnovo della gestione energetica tout court (industriale e domestica), il mondo dello show biz musicale sta virando verso un consumo meditato.

Giusto per farci un'idea più chiara del problema, puoi fornirci qualche dato a riguardo?

Attualmente, il 95% delle installazioni audio/luci utilizzano grandi quantitativi di corrente, erogati dalla rete o da generatori (gruppi elettrogeni) altamente inquinanti, in quanto vengono adottati amplificatori in corrente alternata di grande potenza e lampade a scarica e a incandescenza con elevati consumi.

Di massima ogni lampada tradizionale consuma dai 250 ai 2.000 Watt per un numero che spesso supera i 50 pezzi per installazione.

Solo in Italia ogni anno gli eventi musicali producono una quantità di CO2 pari a quella di 22.500 auto con 10.000 km di percorrenza. 45.000 tonnellate di emissioni nocive solo nel nostro Paese e spreco energetico a pioggia.

Che fare? Ecco alcuni accorgimenti che potrebbero rendere “ecocompatibili” i concerti, riducendo del 75% le suddette emissioni.

Le nuove lampade a LED hanno un’efficienza dieci volte superiore rispetto alle lampade tradizionali e possono lavorare anche in corrente continua, con l’effetto di riuscire ad avere la stessa luce con consumi pari ad un decimo *.

Per quanto riguarda l’impianto audio, invece, si arriverà a utilizzare prevalentemente amplificatori digitali in continua di nuove generazione che, con un uso razionale della corrente anche per i servizi di palco porterà a servire platee enormi, assicurando continuità a bassi consumi e zero emissioni *.

Un esempio? (Francesco mi mostra la foto delle torri layer sopra riportata e ...)

Credo che questa foto sia sufficientemente esplicativa! I pannelli solari vengono messi in opera studiando la disposizione del palco e delle torri layer (quelle che reggono le casse audio per intenderci). I relativi inverter e quadri di scambio possono essere distribuiti nei cavedi delle stesse (solitamente a uso di starlette e zoccolame vario utili quanto un porto in Val d’Aosta), mentre i rilanci di segnale verrebbero gestiti con cablaggio audio/luci di prassi.

I tanto amati chioschi del beveraggio utilizzerebbero lo stesso sistema con un quantitativo di pannelli commisurato alla necessità (services che stanno maturando questa tipologia di supporto tecnologico in renting/sharing sono in continua fioritura).

La foto fa riferimento ad uno spazio aperto. Per l’indoor si può ricorrere al classico impianto fotovoltaico di scambio.

MTV, Radiohead, Muse, Subsonica..sono alcuni dei nomi che si sono già attivati in tal senso.

Il passaggio dalla produzione tradizionale a quella ecocompatibile sarà progressivo, anche per capire in che modo smaltire/riciclare gran parte delle tecnologie sfruttate finora (tonnellate e tonnellate di strumentazione).

Ok, ora è tutto più chiaro! Questo però sulla grande scala. Ma per esempio, tu che sei co-fondatore di un rock club cosa stai facendo in questo senso?

Fin dall’apertura del circolo ho lavorato e investito sull’uso di tecnologie a basso consumo energetico * (ecco il perché dell’asterisco).

Sto valutando l’installazione di un impianto fotovoltaico (anche perché lavoravo nella progettazione di impianti FV), capendo come (e quando) effettuare la spesa.

L’esborso iniziale non è di poco conto (contando tutte le altre spese di allestimento del posto).

E’ altrettanto vero che l’investimento si recupera con la formula di scambio (il surplus che si colleziona viene messo in rete e pagato: a tutti gli effetti si diventa produttori e fornitori di energia).

Per tutto il resto razionalizzo: il catering per gli artisti, la cena, il consumo di acqua.. mi batto perché ogni aspetto venga gestito con parsimonia, giustezza, rispetto.

Vi mentirei se dicessi che non ci sono degli sprechi.. vi mentirei se omettessi il fatto che spesso il mio fegato si ingrossa per questo. Ma voglio che ci sia e credo ci debba essere una battaglia culturale su questi temi.

Ho la fortuna di confrontarmi con un gran numero di persone, posso toccare con mano quanto certi aspetti non vengano presi in considerazione, quanto il parlarne apra le coscienze, quanto l’ignoranza o la leggerezza la facciano da padroni, quante possibilità ci sono per ottimizzare questa parte di cultura-mondo.

La ritengo una fortuna. Sapere che c’è molto da fare è un vantaggio: tiene gli occhi aperti, i nervi e i muscoli pronti allo scatto, la mente curiosa e stimolata.

Recita Wikipedia: “Lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.

Io vedo la musica come un bisogno; ragionare affinché questa possa continuare ad avere spazi, mezzi, connessione con le persone significa anche responsabilizzarla e preparala al futuro.

I tempi corrono e segnano il passo: il cd sta morendo (meno spreco di materiale comunque), i concerti costano sempre di più con feedback inferiore, la gente guarda con sempre meno simpatia le superstars ingorde e violente nel loro disinteresse..

In breve: lo show business musicale (ed è necessario distinguerlo dalla Musica) sta perdendo sul piano culturale su troppi fronti.

Siamo noi fruitori in grado di fare le scelte corrette.

Ed ora che ne siamo più coscienti possiamo ascoltare con maggiore entusiasmo i musicisti che si stanno muovendo verso la direzione auspicata da Francesco (e boicottare i concerti ad alto impatto energetico..) Ringraziamo Francesco e vi lasciamo con un’immagine: un concerto a impatto zero. Sembra non gli manchi nulla.