Colletta Alimentare 2011

Colletta Alimentare 2011 - Io ci sarò!

Contatore

martedì 1 dicembre 2009

Ed eccomi qua - Editoriale n°2


Cara Lettrice/Caro Lettore,
la bella giornata di sole della Barcolana ha aperto le porte all’autunno, e il tempo dei viaggi e delle serate all’aperto al circolo STella ahimè l’abbiamo oramai lasciato alle nostre spalle per qualche tempo. Poco male, perché l’autunno ha superbamente colorato i boschi del Carso incendiandoli con rossi accessi e gialli dorati.
Se l’altipiano è una sinfonia cromatica, la città, a sua volta, sta cambiando le sue sembianze in vista del prossimo Natale.
Ed è proprio il Natale a rappresentare una tappa imprescindibile del nostro calendario: ognuno lo vive con l’intensità e gli dà il significato che più gli è proprio. Favorevoli o contrari, fervidi credenti o atei convinti, cultori delle decorazioni scintillanti o estimatori della purezza degli aghi d’abete, il Natale è un appuntamento fisso dell’anno.
Anch’io voglio partecipare a questo evento collettivo, ma, secondo il mio stile, m’inventerò un Natale a modo mio, un po’ fai da te, ma non per questo meno prezioso. La leggerezza e la gioia di stare insieme, che ingentiliscono i giorni di festa, ben s’accompagnano con accorgimenti per esser più consapevoli.
Sfogliando le mie pagine troverai, quindi, ottime idee per confezionarti da solo i regali, una ricetta per un imbandire un cenone sostenibile, un pensiero da appendere al tuo albero ed un’esilarante proposta di tombola trash per passare le lunghe giornate a casa.
Come oramai avrai intuito, la ricerca di scelte di stili vita sostenibili e consapevoli è uno dei fili che mi tiene legato agli autori. La mia piccola tribù di penne colorate ricama le mie pagine con spunti pratici di facile realizzazione e che loro hanno già sperimentato in prima persona.
Non sono fanatici né supereroi se ti propongono di pulir casa senza usare detersivi, o di dedicare un’ora alla nuova banca del tempo di Trieste, di provare a spostarti per la città evitando la macchina oppure di ricorrere a baratto, riuso, recupero quali modi consapevoli ed ecologici di guardare al mercato e alla moda.
Queste idee e proposte nascono proprio dalle piccole sperimentazioni quotidiane di persone normali, “normalmente” incalzate dai problemi piccoli e grandi di ogni giorno, “normalmente” alla ricerca di conciliare le difficoltà con le risorse disponibili. Per questi motivi i loro suggerimenti sono alla portata di tutti.
Condividere con te le loro esperienze, caro lettore, mi permette di sentirmi parte attiva e responsabile del mondo, della società e del territorio.
Non solo fruitore delle risorse della nostra società ma anche attivo contributore per conservarla ed arricchirla.
E se ti senti ispirato ricordati che questa rivista è e vuole rimanere uno spazio aperto per chiunque vuol scrivere ed esprimere un’idea, iniziativa o curiosità scoperta.
In fondo non è proprio la condivisione il vero spirito del Natale?

Buona lettura


Carsolana vs Barcolana

La risposta carsica per tutti i triestini che la Barcolana l’hanno vista sempre solo con il binocolo, per tutti quelli che solo a vedere una barca sentono mal di mare, e per chi la folla se la evita è meglio...la soluzione ha due ruote!!

di Anna Sustersic


11-10-09 Domenica di ottobre. Calda seconda domenica di ottobre, cielo terso, aria limpida. Caffè. Guardo il mare e da triestina so che, come ogni anno, questa domenica di ottobre il lato patriottico del mio cuore avrà un tremito con quel primo caffè, vista mare. Sono anni che questo primo caffè lo bevo piano, contando le vele...perdendomi alla terza, e di intravedere quel poco di mare che resta fra le migliaia bianche. Spettacoloso effetto Barcolana! Sono anni che guardo e penso “il prossimo anno sarò li in mezzo” ma nemmeno questo è QUEL prossimo anno. Fastidio. Ok mi dico con un moto di stizza: io non ho te ma quest’anno tu non avrai me. Seconda domenica di ottobre alternativa, lascio la città. Obbiettivo: dimenticare l’ingrato mare e le sue festose barche. Si sale, bici, fuga. Cerco di organizzare un itinerario che prenda il tempo necessario a permettermi di tornare a festa finita e che sia tanto bello da farmi dimenticare l’ingrata regata.

Partenza: Opicina. Pedalo veloce, ignorando l’euforico traffico e quella frizzante ansia da parcheggio selvaggio che sta ostruendo la strada. Via, passata Opicina, destra proseguo verso Banne. Sulla sinistra il bivio per il laghetto, ci siamo quasi, ancora pochi metri e poi sulla sinistra lo sterrato che mi permette di sparire. Bosco fitto, ombroso, strada piana, mi rilasso; alla prima biforcazione tengo la destra e seguo il rumore dell’autostrada che so, dovrò superare. La raggiungo, costeggio brevemente, la sottopasso, risalgo e finalmente sulla sinistra mi inoltro nell’ombra. Si riduce e stretto si snoda in un’avviluppante sequenza di querce e carpini. Comincio a dimenticare i rumori. Ho giusto il tempo di abituarmi all’ombra e alla sensazione di avviluppamento vegetale che il bosco si apre. Mi ritrovo in un ambiente prativo. Grandi querce, luce dorata, muretti bianchi e muschiosi e curatissime radure. Mi prendo un po’ di tempo per il paesaggio. Sembra di essere altrove, altro mondo, altro tempo, qualche grande tenuta inglese... paesaggio nordico... la Contea!!! Proseguo verso sinistra. L’ambiente qui è stupendo e il non avere più pietre sotto le ruote se da un lato toglie in “impresità” dall’altro permette mani sui fianchi e pedalata pigra. Proprio questo richiede il paesaggio qui, sicuramente merita calma e rilassata attenzione, premiando con attimi di pura pace! Raggiungo l’abisso di Trebiciano (segnalato da tabella merita una sosta quella che per anni è stata la cavità più profonda al mondo!) Attraversato il confine in breve mi ritrovo ad Orlek (nuova uscita dal tempo). Seguo la stradina asfaltata che sale una collina, prima invisibile, nel bel mezzo del paese (segnali b/r). Al culmine della breve ma intensa salita mi fermo provata davanti ad un noce: il confine di Orlek. Davanti a me una strada asfaltata, dimensioni timide, ancora un paio di metri a destra, la attraverso (sempre segnali b/r). Ambiente ameno: nessun rimpianto per il mare regatoso. Il sentiero rosso “fojarola” si stira pacifico fra i prati, immettendosi in breve su un più ampio sterrato. A sinistra. Scendo dolcemente fino a ritrovarmi a Sežana. Cerco la chiesa subito dopo la quale giro a sinistra. Non fosse domenica mi fermerei, a pochi metri da qui c’è un’ottima cantina (Vinakras) il cui spumante di terrano (Kraška Penina) è un’intuizione geniale della produzione vinicola carsica. Raggiungo il cimitero lato orto botanico (che naturalmente è quello sbagliato!). Un sentiero però costeggia il lato sinistro del cimitero (proprio a ridosso del muro) e mi ricollega alla giusta via. Passo davanti al cimitero militare e fatta una curva la vista si apre sul Monte Nanos e la valle del Vipacco. Fantastico! Un ponte per attraversare l’autostrada e continuo dritta, fra prati e bosco rado e spettacolare panorama. Sempre dritta finisco per immettermi su una strada asfaltata poco frequentata. Poche pedalate in piano e mi trovo davanti il cartello Vrhovlje. La mia meta è poco distante da qui. Al bivio lascio sulla destra il centro di Vrhovlje, la mia strada mi porta a sinistra, a Dol pri Vogljach. Sopraelevo la ferrovia e ancora a destra. A soli 100 m da me la soddisfazione dello spirito e del corpo... una trattoria! Il giorno è quello giusto (aperto giov-dom); poca gente. Sento necessità di un bicchiere di Malvasia e quale miglior modo di goderlo se non in uno dei tavoli all’aperto sotto l’importante vitigno, spalla a spalla ad un magnifico esemplare di zucca, glorioso simbolo di inizio autunno. Assetto defaticante e udito allertato: il cameriere recita il menù... musica: strudel di spinaci, gnocchi con funghi porcini, ravioli di ricotta ed erbe. Mi intenerisco sul filetto di maiale con aromi carsici e mi emoziono per la crema di mandorle. La trattoria (1888) ha un’atmosfera unica. Accogliente, semplice e con stile (non manca qualche Spacal alle pareti), curata nell’ambiente e nella preparazione e presentazione. Per chi volesse assaggiare un po’ di Carso, questo è sicuramente il posto giusto! Finisco il mio bicchiere e con un enorme sforzo di volontà saluto l’arrosto d’agnello, so che presto lo rivedrò!!!!

Pedalata incerta e un po’ infiacchita dal vizio, mi rimetto in strada. Direzione confine, Col. Un passaggio sotto la rocca di Monrupino per quei pochi metri fra querce e noci e atmosfera da romanzo dell’ottocento, che valgono tutto il Carso. Poi giù verso Opicina. Ore: 15 e 30, giro terminato. Felice e appagata, penso scendendo verso la città. Il mare?! dimenticato. Imbocco Via Commerciale, scendo sorridente immersa nei miei pensieri boscosi ma qualcosa mi spinge ad accelerare. Ansia sottile; passo le rotaie, scendo, curva…e finalmente lo vedo, quello scorcio, forse il più bello di Trieste. Luce pacata, timida; il mare è uno specchio d’oro... ancora invaso dalle vele. La mia triestinità riemerge: Grazie a Dio non sono arrivata troppo tardi!!


Quando la solidarietà non conosce crisi

Anche quest’anno a Trieste, come in tutta Italia, si svolgerà la giornata nazionale della Colletta Alimentare

di Stefano Querin


Sono ormai 20 anni che la Fondazione Banco Alimentare ONLUS si occupa della valorizzazione sociale delle eccedenze alimentari. In ogni regione italiana, la rete dei Banchi Alimentari locali distribuisce gratuitamente i prodotti raccolti alle migliaia di Enti benefici convenzionati che assistono i poveri e gli emarginati. Quindi, da un lato si agevolano le aziende del settore che hanno problemi di stock ed eccedenze commestibili e, dall'altro, si aiutano gli Enti assistenziali che distribuiscono pasti o generi alimentari nell’arco dell’anno. In due parole, un altro modo per trasformare lo spreco in risorsa.

La rete del Banco raccoglie alimenti da Enti pubblici, industria agro-alimentare, grande distribuzione, Mercati Generali e ristorazione collettiva. Circa il 15% del suo approvvigionamento totale deriva dalla Colletta Alimentare, che si svolge una volta all’anno, da ormai 13 anni, l’ultimo sabato di novembre. Quindi, in una sola giornata si fa il 15% delle scorte di un anno intero: non male! L’iniziativa, a livello nazionale, coinvolge oltre 7.600 supermercati e più di 100.000 volontari. In sostanza i volontari invitano i clienti dei supermercati a condividere la propria spesa, donando alimenti non deperibili – preferibilmente olio, omogeneizzati e alimenti per l’infanzia, tonno e carne in scatola, pelati e legumi in scatola - che saranno distribuiti a circa 1,3 milioni di indigenti attraverso gli 8.000 enti convenzionati. In occasione della Colletta Alimentare del 2008, oltre 5 milioni di italiani hanno donato 8.970 tonnellate di cibo per un valore economico di oltre 27.000.000 di euro.

In particolare, nella provincia di Trieste sono state raccolte 28 tonnellate. Gli Enti sostenuti (al 30/04/08) sono stati 25 per un totale di 3120 persone assistite (fonte Associazione ONLUS Banco Alimentare del Friuli Venezia Giulia).

Appuntamento dunque a sabato 28 novembre!

Per maggiori informazioni

http://www.bancoalimentare.org

Elephant Dung Paper

Da un' iniziativa nata in Sri Lanka nel 1997, arriva la carta ricavata dallo sterco di elefante. Un esempio curioso di progetto di sviluppo che si fonda su una materia prima locale, rinnovabile, liberamente disponibile in qualunque momento

di Barbara Rossini



Immaginate 4.000 pachidermi, ognuno dei quali produce al giorno una media di 230 chili di cacca. Per un totale di 920.000 chili prodotti in una sola giornata in tutto lo Sri Lanka: il progetto “ECO MAXIMUS” si basa su queste sbalorditive cifre per realizzare articoli di cancelleria e regalo composti al 75% da sterco di elefante e per il restante 25% da carta riciclata. Con 10 kg di questa materia ricca di fibre vegetali, infatti, si fanno mediamente 660 fogli di formato A4.

State storcendo il naso? Tranquilli, la carta così ricavata non puzza ed è igienicamente sicura...lo sterco, infatti, “viene sottoposto ad un processo di bollitura per un giorno intero e il prodotto finale viene ritenuto igienico con tanto di certificato dall'Istituto nazionale della Ricerca Scientifica di Ceylon”. Inodore perché è la stessa materia prima ad esserlo, non avendo il tempo di fermentare nella pancia dell'elefante dotato di una digestione rapidissima, che praticamente compie solo la prima fase di sbriciolamento delle fibre.

ECO MAXIMUS prende il via da un'originale idea di Thusitha Ranasinghe, attualmente amministratore delegato dell'omonima società, e gli obiettivi dell'azienda si rivelano da subito molto chiari: “lottare per la tutela dell'elefante con l'intento di renderla vantaggiosa e sostenibile”. Perché? Ecco la spiegazione: lo Sri Lanka accoglie sul suo territorio un decimo dei 40.000 elefanti Asiatici selvaggi in circolazione e solo dal 1950 ad oggi ne sono stati abbattuti altrettanti. Non per le loro zanne, non per la loro carne, non per la loro pelle ma perché danneggiano l'agricoltura. Le aree protette riservate a questo poderoso mammifero hanno di solito un'estensione inferiore ai 1.000 kmq mentre gli elefanti possiedono la capacità di spostarsi di centinaia di chilometri nel corso di una sola stagione, per soddisfare il loro vorace appetito. Non avendo abbastanza spazio quindi, invadono i terreni coltivati innescando un duro e spietato conflitto con l'uomo. Ciò a cui punta la filosofia di MAXIMUS è creare “un business che immagina l'elefante come l'azionista principale” e, al tempo stesso, sviluppare strategie volte a migliorare la condizione socio-economica di quella parte di popolazione che vive nelle zone rurali, risarcendola del danno provocatole da questo potenziale amico. In Sri Lanka l'agricoltura è a tutt'oggi la forma dominante di sfruttamento del suolo, per questo il problema è ben lontano dall'essere risolto e di certo non è la cacca di elefante l'unica soluzione. Pian piano però cresce il numero di contadini persuasi del valore economico che essa racchiude e del profitto che se ne può ricavare per aumentare il loro benessere, soprattutto con la creazione di succursali autonome della fabbrica nelle zone di conflitto tra governo e tigri Tamil. Dare così concretezza al “Progetto carta di Pace” e instaurare un rapporto reciproco e vantaggioso tra l'uomo e l'elefante, questi i traguardi finali.

Una Trieste viva!

Alla voce “propositi per il nuovo anno” vogliamo mettere il pensare ed essere parte attiva nella vita sociale e musicale della nostra città. A questo proposito ecco un’intervista a Roberto Lisjak che ci presenta il comitato Trieste Viva

di Putano Noiz


Ciao Roberto. Tutto bene? Direi che la prima domanda debba essere: cos'è il Coordinamento Trieste Viva?

Trieste Viva è uno strumento di coordinamento delle principali realtà che a Trieste si occupano di aggregazione giovanile, con particolare riferimento al contesto musicale: ne fanno parte varie associazioni studentesche e giovanili che si prefiggono lo scopo di avvicinare la città alle espressioni della cultura giovanile, per rendere le strade e le piazze vitali, partecipate, vive. Quando scegliamo un vino ci auguriamo che sia buono, non solo “bevibile”, parimenti noi non ci accontentiamo di una città che si limiti ad essere “vivibile”, vogliamo una città “viva”.

Da cosa è nata l'esigenza di un Coordinamento simile?

L'esigenza di convocare gli "stati generali" dei soggetti che si occupano dell'organizzazione di eventi nasce da una riflessione comune sulla necessità di difendere una visione della socialità più autentica, più spontanea e quindi più ricca. Questa socialità è inscindibile da una concezione della città come uno spazio che tutti i cittadini possano sentire proprio, "cittadini attivi e consapevoli e non solo comparse in uno spettacolo diretto da altri, diretto da pochi", come recita il nostro manifesto.

L'idea di far convergere in un organismo di coordinamento realtà diverse per cultura ed esperienza ma accomunate dalla stessa visione della socialità, matura a partire da alcuni momenti molto significativi che hanno contraddistinto gli ultimi mesi. Nel mese di Aprile si è tenuta una tavola rotonda sul tema delle aggregazioni giovanili, organizzata dalla lista studentesca Autonomamente; in quest'occasione i vari soggetti attivi sul territorio hanno potuto confrontare le rispettive esperienze e ne è emerso un quadro in cui molti hanno lamentato difficoltà di rapporto con le istituzioni e con la città. Il secondo evento chiave è la mobilitazione collettiva conseguente allo spostamento dalla sua sede tradizionale dell'Opening Band Live, un concorso per gruppi emergenti organizzato dal Comune di Trieste che nelle passate edizioni si era sempre svolto nella centralissima piazza S. Antonio ma che per l'edizione 2009 è stato spostato in periferia. Verso la fine di giugno, quando è iniziata a circolare la notizia dello spostamento la mobilitazione è stata spontanea ed immediata: è subito nato il gruppo su facebook “Coprifuoco a Trieste? No, grazie” che nel volgere di una decina di giorni ha raccolto quasi 5000 adesioni, chi aveva i contatti con l'amministrazione comunale ha sondato le vie diplomatiche ma, soprattutto, tutte le realtà che si erano confrontate nella tavola rotonda si sono incontrate per fare quadrato, costituire un fronte comune. In tutti noi c'era la netta consapevolezza che se le singole associazioni non godevano di adeguata considerazione nel dibattito, un organismo che le rappresenti tutte diventa un interlocutore ineludibile e così è stato: il neonato Coordinamento, infatti, ha organizzato un'assemblea pubblica per discutere dello spostamento dell'Opening e l'assessore Rovis, delegato dal Sindaco, è venuto a confrontarsi con noi e con il pubblico intervenuto, mostrando una notevole considerazione per il soggetto che si andava costituendo.

Trieste versa davvero in questo stato "precario" di socialità e confronto? Perché?

Non credo sia il caso di drammatizzare e di alimentare l'idea che esista una insanabile contrapposizione fra giovani e città; esistono soggetti che hanno interesse a spingere una visione della città di Trieste lacerata da un conflitto generazionale, mi riferisco in particolare ai media, ma ci sono a mio giudizio ampie possibilità di confronto e margini di miglioramento del clima. La città non è rappresentata solo da chi scrive lettere di protesta al giornale e non tutte le lamentele sono infondate; si tratta di uno scenario complesso di cui è molto difficile avere una percezione esaustiva.

Spesso ci si confronta e ci si scontra sulla rivendicazione di due istanze contrapposte ma ambedue legittime:da un lato il diritto alla socialità, dall'altro il diritto al riposo. In mezzo, nello scomodo ruolo di arbitro della contesa, le istituzioni.

Io credo che sia pretestuoso sostenere che si tratti di esigenze incompatibili fra loro e soprattutto contesto l'identificazione socialità=giovani, riposo=adulti; ci sono adulti che sono ben felici di vivere in una città in fermento e non tutti i giovani sono molestatori del sonno altrui.

Secondo me, alla base di queste incomprensioni c'è da parte delle istituzioni una difficoltà di lettura delle aggregazioni giovanili, una incapacità di fare le opportune distinzioni fra modelli di aggregazione, stili di vita e persone che li interpretano. Il compito che ci proponiamo è quello di affiancare le istituzioni in questo lavoro di decodifica, mettendo a disposizione le nostre competenze e le nostre esperienze per favorire un dialogo fra le parti.

Chi fa parte del Coordinamento e, soprattutto, è un tavolo di discussione aperto a tutti?

Il Coordinamento è aperto a tutte le associazioni che operano nel contesto delle aggregazioni giovanili: ne fanno parte l'Associazione Culturale Gruppo Tetris, l'Associazione Musicale Jambo Gabri, Casa delle Culture, il Comitato Nuova Tripcovich, la Consulta Giovanile di Trieste, la Lista Universitaria Autonomamente e l'Unione degli Studenti. Chiaramente siamo ben felici di allargare il dibattito ad altri soggetti e invitiamo gli interessati a contattarci via mail: triesteviva@gmail.com.

Quali gli scenari possibili per il futuro socio-culturale di Trieste?

Gli incontri del coordinamento si succedono a cadenza settimanale e stiamo facendo un buon lavoro di squadra. In questi mesi abbiamo ottenuto di confrontarci con dei rappresentanti della giunta comunale, gli assessori Rovis e Rossi, in quello che ambisce ad essere un tavolo permanente di confronto sulle tematiche giovanili. In questo senso abbiamo riscontrato un atteggiamento di disponibilità e una sincera apertura di credito da parte del Comune. Abbiamo affrontato temi ad ampio spettro, dalle più nobili questioni del rapporto fra giovani e istituzioni al più prosaico problema della mancanza di bagni pubblici nel centro città, ed abbiamo posto le basi per l'individuazione di soluzioni concrete. Stiamo discutendo con il comune la possibilità di co-organizzare manifestazioni in centro e ha trovato terreno fertile anche la nostra proposta di rivitalizzare la socialità anche in zone periferiche della città con manifestazioni ideate ad hoc. Abbiamo chiesto ed ottenuto che l'area della ex piscina Bianchi sia messa a disposizione per le manifestazioni all'aperto e contiamo di ottenere a breve l'installazione di alcuni bagni chimici nelle zona più frequentate nelle ore serali. I presupposti per cambiare le cose ci sono tutti ed è tangibile il fatto che anche le istituzioni son consapevoli della necessità di attribuire la giusta importanza a questi temi.

Trieste non è più la città deserta ed abbandonata a se stessa di qualche anno fa, attualmente l'offerta culturale rivolta ai giovani è ampia e sufficientemente variegata. La sfida per il futuro è quella di aiutare la città a percepire questa offerta come una ricchezza e non come un elemento di disturbo. All'orizzonte ci sono progetti importanti, primo fra tutti il progetto di rivalutazione della Sala Tripcovich, e i segnali di vitalità di cui quest'esperienza del coordinamento è la miglior testimonianza, lasciano intendere che i giovani sono determinati a rimpossessarsi del proprio futuro.

Albero Natalternativo

Albero di Natale. Un tuffo nella rete alla ricerca di soluzioni ecosostenibili

di Pietro Parisse


Il Natale si approssima, quasi minaccioso con le sue luci colorate.

Prima della smania da regali e l‘ansia da cenone (che arriverranno presto) mi trovo perplesso a dover risolvere l‘annoso quesito “Albero si, albero no?”. Non è stagione di margherite per decidere al m‘ama non m‘ama e con un crisantemo o una stella di natale ci vorrebbe troppo tempo e poi ci sono innumerevoli variabili (albero vero, albero finto, rami sostitutivi...) insomma non so proprio dove sbattere la testa... per cui decido di gettarmi nella rete... l‘unica ancora di salvezza...e mi accorgo dun tratto di non essere il solo a sentirmi invischiato nella magmatica questione dellecosostenibilità dellalbero di Natale.

Qual‘è la scelta piu sostenibile?

Dopo aver passato in rassegna blog e iniziative varie mi sento di sconsigliare l‘albero artificiale (acc... i miei ne hanno uno...). Infatti, nonostante abbiano il vantaggio della resistenza nel tempo sono prodotti da metallo e plastiche che per produzione e smaltimento sono fonte di danni per l‘ambiente.

Lacquisto di un albero vero deve essere, daltro canto, effettuato con grande cautela. E necessario accertarsi che lalbero abbia le radici intatte per permettere lattecchimento una volta piantati a terra dopo le feste. Lacquisto di un albero con certificazione FSC (Forest Stewardship Council) provenienti da foreste gestite in maniera corretta dovrebbe essere garanzia di ecosostenibilità.

Text Box: Foto di Pietro ParisseQualora non si fosse sicuri della provenienza dellalbero e qualora non si possegga il magico pollice verde (io non riesco a tenere vive le piante grasse figuriamoci un abete o un pino) si potrebbe seguire la dritta di greenpeace, ovvero di non comprare un albero vero ma di utilizzare i rami di potatura dei nostri boschi. Non saranno vivi, ma si possono rendere belli con un po di fantasia. Inoltre si aiuterebbe a tenere pulite le nostre foreste, aiuterebbe lo smaltimento dei rami di potatura che potranno essere successivamente utilizzati come legna da ardere, ma al contempo non aumenterebbe il numero di alberi vivi.

A tal proposito unidea interessante viene dalliniziativa “il BosCO2 di Natale” di Legambiente e Azzero CO2. Per il terzo anno consecutivo, infatti, sarà possibile regalare o regalarsi un albero che verrà piantato nellarea destinata ad ospitare il Bosco di Natale. In questo modo il destinatario riceverà un attestato di acquisto dellalbero e un aggiornamento sullevoluzione del progetto con le foto dellarea forestata che potrà essere visitata da tutti. In questo modo si potrà contribuire alla realizzazione del bosco e alla conseguente riduzione di CO2 presente in atmosfera.

Come vedete cè spazio per vivere il Natale in maniera sostenibile... ognuno scelga quel che crede piu opportuno per vivere al meglio la magia natalizia.

Io nellindecisione credo che alla fine farò solo il presepe (senza muschio, senza muschio...).

Link utili:

http://www.azzeroco2.it/

http://www.legambiente.it/

http://www.fsc-italia.it/

http://www.greenpeace.it/econat


Idea regalo 1: Lampada ad Olio

Idee pratiche per il recupero, riutilizzo e riciclo di materiali da cassonetto. E chi è più creativo più risparmia!

Idea regalo 1: Lampada ad Olio

di Simone Libralato




3

Un’idea regalo per il Natale: una lampada ad olio fatta con materiali di recupero! Vi basteranno un vecchio appendino di metallo, una lampadina bruciata, il laccio di una vecchia scarpa da ginnastica e una monetina (foto 1). Togliete tutte le parti interne della lampadina aiutandovi con una tenaglia e un cacciavite. Aprite l’appendino in modo da renderlo un filo di ferro diritto e piegatene un’estremità (ad esempio avvolgendola attorno al manico di una scopa) in modo da creare due giri di filo di ferro in cui sarà avvitata la lampadina svuotata (foto 2). Piegate la porzione rimanente dell’appendino in modo da costruire il supporto alla lampada. Tagliate un’estremità del laccio di scarpa e sfilate la parte centrale di cotone grezzo che utilizzerete come stoppino da inserire nella monetina precedentemente bucata con un grosso chiodo. Componete il tutto (foto 3) e riempite il bulbo con olio da lampada colorato che troverete nei negozi specializzati. Ed ecco la lampada che illuminerà e decorerà il vostro Natale o quello di un amico!


Idea regalo 2: Il mondo con le spalle al muro

Idea regalo 2: Il mondo con le spalle al muro

di Valentina Daelli


Se la vostra collezione di francobolli vi ha stancato, usatela per creare una mappa del mondo da regalare ad un appassionato di viaggi.

Nella foto (via Recyclart) l’autore ha realizzato una mappa in cui ogni paese è rappresentato da un francobollo locale… Se non avete la pazienza di collezionare francobolli, o se al contrario non vorreste mai cedere la vostra, potete trovarne su Ebay a poco prezzo!

Link utili:

http://www.recyclart.org/

Idea regalo 3: Pollici verdi

Idea regalo 3: Pollici verdi

di Valentina Daelli



Un amico con il pollice verde?!?!

Perché non regalargli un’alternativa al classico vaso?

Un paio di stivali da pioggia diventano dei vasi da giardino, e per appendere una pianta perché non usare un vecchio pallone da basket? (via Recyclart)

Se lo spazio è poco, una scarpiera da armadio diventa facilmente un orto in verticale! Da appendere a una parete o a una porta, risparmiando spazio e allontanando anche le piantine da qualche gatto che ama scavare… (via Greenupgrader)

Ah, e se invece è proprio una scarpiera a mancare, riciclate un bancale di legno, che, pulito e posto in verticale, farà al caso vostro! (via Recyclart)


Idea regalo 4: Un Natale…sotto vetro

di Valentina Daelli


Se anche voi accumulate vasetti e barattoli di marmellata, pesto, passata di pomodoro, yogurt e quant’altro, è forse il momento di liberare gli scaffali e realizzare, con pochissima fatica, qualche piccolo pensiero per Natale…

Ripuliti i vasetti e tolte le etichette (con un po’ di alcol, se necessario, per rimuovere gli ultimi residui), si possono creare facilmente dei porta-foto particolari o, se avete il pollice verde, dei mini terrari per piccole piante grasse.

Con un po’ più di pazienza, e una capatina dall’elettricista, dei vecchi barattoli diventano dei lampadari molto scenografici!

Progetti via Designsponge.


Link utili:

http://www.recyclart.org/

http://www.designspongeonline.com/

http://greenupgrader.com/

Tombola trash

Un’idea alternativa alla classica tombola partendo dall’idea del riciclo-riuso

di Matteo Dalmiglio



Con l’arrivo delle festività e dei momenti passati in famiglia, arriva molto spesso il momento di partecipare alla classica tombola di natale con tutti i parenti. Per alcuni questo è un momento di spensieratezza e di comunione, per altri invece è un momento esaltante quanto guardare Emilio Fede al Tg4. Se però siete stufi di assistere a momenti altamente sconfortanti, quali la zia cicciona che facendo finta di starnutire sulla vostra cartella manda all’aria tutti i vostri segnanumeri pur di vincere il premio di 50 cent esultando poi come Paolo Rossi nel mondiale dell’82, ecco venire in vostro soccorso un’idea alternativa alla classica tombola, che partendo dall’idea del riciclo-riuso trasforma questo gioco in qualcosa di simpatico che allieterà i vostri pomeriggi in compagnia dopo le classiche abbuffate festive: la “tombola trash”.
In cosa consiste la “tombola trash”? Non è nient’altro che una classica tombola, svolta secondo le tradizionali e centenarie regole che la riguardano, in cui si hanno i classici 90 numeri, ognuno dei quali abbinato ad un particolare fenomeno o situazione (33 gli anni di Cristo, 77 le gambe delle donne, 90 la paura..o qualsiasi correlazione la vostra fantasia generi), un tabellone centrale, e delle cartelle da distribuirsi ai partecipanti.
La differenza sostanziale e innovativa che la rende un simpatico momento di divertimento comunitario è che i premi in palio per gli ambi, le cinquine e le tombole (il numero delle vincite ad ogni giro dipende da quanti oggetti sono in palio) devono essere rigorosamente gli oggetti i più brutti possibili, che ognuno di noi ha ricevuto in regalo durante l’anno (da qui il termine “trash”, spazzatura). Nel caso invece voi abbiate amici o parenti che vi regalano solo cose utili e belle, si possono usare tutti gli oggetti più brutti che per qualsivoglia motivo (un acquisto fatto quando eravate ubriachi, un lascito dello zio d’America, un errore di ebay) sono arrivati in casa vostra e che da allora vi stazionano senza che voi non sappaite più dove metterli, o che da anni giacciono nello scatolone più nascosto della vostra cantina.
Poche ore prima della partecipazione alla tombola trash dovrete aver cura di incartare per bene i regali, ovviamente con carta da regalo riciclata, rotta e logora, o con fogli di giornale (per un tocco di classe si consiglia o “Il sole 24 ore” o “La gazzetta dello sport”) in modo tale da non svelare quali saranno le future vincite. Ponete tutti i vostri oggetti in un grosso cesto e abbiate l’onestà di segnalare quali sono destinati alle vincite minori e quali invece sono per la vittoria di una tombola (chiaramente i regali più brutti e divertenti devono essere tenuti per la tombola). E date inizio al classico rituale dell’estrazione, della proclamazione del numero estratto e così via, fino alle prime vittorie, alle quali corrisponderanno l’assegnazione dei premi assegnati e alla visione delle facce dei vostri amici al momento in cui scartando il premio si accorgeranno di cosa hanno vinto.
Ecco dunque come disfarvi di quella tristissima statuetta di preziosa porcellana di Capodimonte raffigurante una lavandaia zoppa, o di quel corno d’ariete tipico di un rifugio di montagna che ancora vi chiedete come sia entrato in casa vostra, o anche di quel set di tanga leopardati che vi erano stati regalati alla cena di natale aziendale. In aggiunta potete stabilire da subito se valga o no la vincita di un premio che avevate portato voi; nel caso decidiate che si possa rivincere un vostro premio, beh, allora non potrete più dire che quell’oggetto non era destinato a voi.

Integrazione culinaria

C'è qualcosa che accomuna autoctoni ed immigrati.

Una cosa che è indipendente dal colore della pelle, dal tropico che ti fa da riferimento, dal nome del mare che hai di fronte, dalla lingua che parli o dalla religione che professi: il cibo

di Annalisa Boscaino e Marco Regis



Abbiamo appurato che quando si parla di cibo cadono tutte le barriere culturali, con una forchetta in una mano e un tovagliolone al collo siamo tutti una faccia una razza, anche in Sudafrica..

Il peggio che puo' accaderti è darvita ad accese discussioni sul grado di cottura di una bella bistecca di antilope (o di maiale...dipende dalla latitudine), c'è chi la preferisce al sangue chi stracotta, ma piu' di quello non si rischiano discriminazioni (e comunque, detto tra noi, l’antilope va mangiata al sangue...).

E devo dire che noi italiani siamo molto avvantaggiati, avendo a tal riguardo un certo significante bagaglio culturale e pare essere comunemente accettata la superiorità della nostra cucina: quando un italiano parla di cibo il resto dei commensali ascolta (e impara!).

Dopo i primi duri tempi qui in cui rimpiangevamo le osmizzate con formaggi e prosciutti di ogni tipo, sognavamo la mozzarella di bufala del fattore campano, i cannelloni di mamma, la bagnacauda piemontese, la torta novecento e la pizza da michele a napoli, ci siamo fatti coraggio, abbandonato i nostri campanilistici pregiudizi e cercato la nostra integrazione culinaria.

E siamo rimasti positivamente sorpresi dalla varietà e originalità di cibi che è possibile gustare in questo Paese.

Il Sudafrica ha infatti una storia travagliata, politicamente, culturalmente e anche dietro i fornelli.

Chiunque sia arrivato fin qui, non stiamo a parlare ora nè del come nè del perchè, ha trasmesso la propria cultura mangereccia e arricchito la cucina locale. Il risultato è che si possono mangiare – piu’ che in altre cosmopolite città europee – varietà infinite di piatti africani, indiani, malesiani, cinesi, varianti italiane, spagnole, portoghesi, olandesi, inglesi e via dicendo ma soprattutto originali mix di questi messi insieme..

A cio’ bisogna aggiungere che ora va tanto di moda (anche qui) lo slow food, con tutte le centinaia di mercatini biologici ed environmental friendly annessi che spuntano fuori come funghi in ogni angolo.

E a ragione, visto che appena usciti di un po’ di chilometri dalle città, si trova un cospicuo numero di farms, immerse in distese verdeggianti e infinite, eredità di olandesi e francesi e inglesi, approdati in questa terra un paio di secoli fa, che producono cose ... bbbuone e genuine.

Giusto per renderci un po’ di giustizia, dobbiamo dire che, cercando cercando, abbiamo trovato una farm che produce mozzarella di bufala (e le bufale indovinate questo gentile cowboy da dove le ha trasportate, in nave, alla stregua di Annibale con gli elefanti?).

O chi ha introdotto la mitica oliva italiana per ottenere olio di alta qualità...o chi ha imparato a fare il pane, stufo dell’anglosassone pane in cassetta, o chi alleva struzzi, chi produce dell’ottimo vino, chi alleva la rara pecora nera e chi cura distese di rooibos (giusto per fare qualche esempio).

Ma lasciando perdere per ora il lato forse piu’ social-economico della cosa (si, mangiare sano, raro e bello costa anche qui) e tornando a quello decisamente piu’ sensoriale...

Vogliamo proporvi una ricetta che da ste parti spopola, si mangia ovunque, anche alla mensa dell’università. Per carità, nulla a che vedere con i grandi chef di casa, ma è un concentrato di culture, addirittura eletto piatto nazionale del Sudafrica dall’Organizzazione Femminile delle Nazioni Unite: il bobotie (si pronuncia buoobuootiiiiiiii...come se lo stessi già masticando).

È un riassunto culturale: gli olandesi hanno importato la carne macinata, le spezie sono state introdotte dagli schiavi portati qui dall’Indonesia e il modo di presentarlo ricorda il “pie” inglese. Senza contare, che questo piatto è un po’ l’analogo della torta salata all’italiana, ovvero si cucina con i resti che si trovano in frigo (soprattutto se il giorno prima si è cucinato un bell’arrosto..speziato!).

Allora...

25g di burro;

1 cipolla tagliata a julienne;

500g di carne macinata (a scelta, qui è comune usare l’agnello ma il manzo, ad esempio, va benissimo);

2 spicchi d’aglio, schiacciato;

2 cm di radice di zenzero fresca, pelata e grattuggiata;

2 cucchiai da tavola di mix di spezie aromatiche (da compare tipo al negozio indiano sotto casa...);

½ cucchiaio di curcuma;

1 cucchiaio di cumino;

1 cucchiaio di coriandolo macinato;

chiodi di garofano (pochi, tipo 2); pepe;

1 cucchiaio di erbe aromatiche seccate varie a scelta;

50g di albicocche secche, tagliate a piccoli pezzi;

25g di mandorle;

4 cucchiai di prezzemolo tagliato fine;

4 foglie di alloro, piu’ qualcuna extra per guarnire;

250ml di latte fresco intero;

3 uova grandi;

(qualcuno ci mette anche l’uvetta passa...).

Riscaldate il forno a 180 gradi. Nel frattempo, in una padella fate dorare le cipolle con il burro (o l’olio) e poi mettetele da parte.

Fate cuocere la carne macinata in una padella antiaderente o in una pentola che non attacca, senza olio, finchè la carne non diventa di colore dorato-scuro. Rimuovete la carne dal fornello e fatela raffreddare.

Intanto, aggiungete alle cipolle tutti i rimanenti ingredienti, eccetto il latte e le uova. Mescolate bene e poi unite questo mix alla carne.

Versate poi il tutto, ben amalgamato, in una pirofila da forno e pressate con le mani o con il dorso di un cucchiaio, in modo che risulti ben compatto.

Sbattete le uova insieme con il latte e versatele sulla carne.

Cuocete in forno per 20-25 minuti per bobotie di piccole dimensioni (e 30-40 per grandi bobotie) o comunque fin quando non vedrete l’uovo ben cotto e la carne di un colore dorato-marrone.

E poi ovviamente tanto buon vino rosso e ... un pensiero a noi emigranti!

E buon appetito!

Aiuto dalla terra

Sabato 10 Ottobre, in un’allegra e musicale Trattoria di Trieste, in un’atmosfera naturalmente famigliare, si è tenuta l’inaugurazione della nuovissima Banca del tempo Altro Tempo, aperta dal 33enne muggesano Massimiliano Apostoli

di Ketty Coslovic


La Banca del tempo, presente come idea da decenni e decenni su scala mondiale, è un’associazione di persone dove il volontariato è letteralmente indirizzato a tutti. Il principio è molto semplice. L’unità di misura è il tempo. Noi offriamo del nostro tempo sottoforma di aiuto a un altro socio e prima o dopo sarà il ricevente a dover fare un favore a qualche altro iscritto della Banca, a seconda delle capacità e disponibilità che possiede. Quindi, per fare un esempio concreto, se un ragazzo ripara un rubinetto ad una signora in circa un’ora di tempo, questa signora avrà un debito da saldare che offrendo un’ora di taichi, reiki o una piega di pantaloni a qualsiasi altro desideroso richiedente della banca lei riuscirà a colmare. Ciò fa comprendere come nella Banca del tempo, più che in ogni altro luogo di scambio, ci sia bisogno di un certo equilibrio tra domanda e offerta, il quale, in realtà, non è poi così arduo raggiungere. Si possono offrire innumerevoli abilità, e se non siamo in grado di offrirci in qualcosa, quasi certamente possediamo un oggetto che può essere utile a qualcuno. Una bicicletta per esempio, per cedere la quale qualche ora o qualche giorno, non c’è davvero bisogno né del nostro tempo né di altro. La new entry triestina “Aiuto dal cielo?”, col rigorosissimo punto di domanda, fin dal suo stesso nome vuole esprimere come noi stessi siamo artefici del risolvere o meno i nostri problemi e quelli degli altri qualora sia possibile agire.

Non conduce al cambiamento aspettare un “aiuto dal cielo”, piuttosto la strada da perseguire per migliorarci è quella di dare noi stessi l’esempio di un comportamento altruista. Sperando che questo atteggiamento sia da esempio per gli altri.

Per questo, come afferma Massimiliano Apostoli, la “sua” nuova Banca del tempo è anche “un laboratorio sperimentale dove testare nuove soluzioni ai problemi della vita quotidiana. Inoltre per Max conta anche l’aspetto informatico, per ora troppo trascurato. Fare un buon sito sulla Banca, esprimere sul web cosa si offre o si richiede, sono punti importanti per essere più redditizi e aperti, sia verso i giovani sia verso quegli anziani che hanno difficoltà a spostarsi da casa.

Sembra già chiaro che "Aiuto dal cielo?" sarà una sede che lavorerà di più sul sociale che sul risparmio economico. Essa si inserirà promettente tra le altre Banche del Tempo italiane nate da circa 15 anni a questa a parte (segnare un preciso inizio,sia in Italia che nel mondo, di questo tipo di attività, semplice ma essenziale e organizzata, è chiaramente impossibile) e presenti un po’ ovunque, soprattutto nei paesini più piccoli e talvolta meno conosciuti, dove certi valori del dare fraterno e vicendevole sono rimasti del tutto intatti.

Per iscriversi a “Aiuto dal cielo” potete contattare

la nostra redazione a

arcivolentieri@gmail.com

Una pinta di... detersivo!

Pulire la casa in modo ecologico… si può fare!

di L. S.


Nonostante i tentativi di ignorarli, i piatti sporchi dal lavello vi chiedono, vi scongiurano di essere lavati. E allora che si fa? Detersivo!

E quei vetri che dopo l’ultimo acquazzone sono diventati un po’ fumé, per cui invece che a Trieste vi sentite di vivere nei sobborghi di Londra nel pieno della Rivoluzione Industriale? Soluzione: detersivo!

E quel pavimento che trasforma magicamente il colore dei vostri calzini bianchi in un bel grigio/marrone che quest’anno va così tanto? Detersivi… per i piatti, per pulire i pavimenti, i vetri, le superfici: detersivi inquinanti, in grossi recipienti che verranno buttati via e andranno ad aumentare la quantità di plastica nei rifiuti delle nostre città.

Che possiamo fare per ridurre l’inquinamento?

Soluzione 1- smettiamo di pulire! Portiamo sotto il primo acquazzone ciò che può essere lavato sotto la pioggia, apriamo le finestre per fare corrente d’aria e togliere un po’ dei ciuffi di polvere che rotolano nel salotto come cespugli di erba secca nel deserto del Nevada.

Text Box: http://www.eticamente.altervista.orgOppure… oppure!!


Soluzione 2 - la meno drastica: utilizziamo i detersivi alla spina. Ebbene si: esistono dei negozi in tutta Italia in cui è possibile portare il proprio recipiente e riempirlo con il detersivo che ci serve: per i piatti, per i pavimenti, per il bucato normale e quello delicato, ’ammorbidente, il detergente per le superfici in genere e quello per i vetri. A prezzi inferiori rispetto a quelli che si comprano normalmente nei supermercati, e contenenti gli stessi “ingredienti”… così facendo infatti non è necessario pagare il materiale per ogni imballaggio, la pubblicità, e quant’altro.

Esistono varie ditte che producono questo tipo di prodotti, ma in questo articolo vi parlerò di quello provato in prima persona. Sul sito http://millebolle.iport.it/ è possibile trovare i punti vendita in tutta Italia.

Unica controindicazione: le sostanze che compongono questi detersivi sono inquinanti, quindi bisogna sempre stare attenti alle dosi, usando sempre il minimo indispensabile.

Soluzione 3 -scegliere alternative ecologiche e naturali, ma altrettanto efficaci. Poco tempo fa mi sono imbattuta in un opuscoletto del governo Australiano, tradotto in italiano, intitolato Guida rapida al pulire naturale, che dava una serie di consigli semplici ma assolutamente geniali: usare il bicarbonato, ad esempio, per pulire, deodorare, sgrassare. Il succo di limone è invece un candeggiante delicato, un deodorante e un buon detergente. Oppure il sapone naturale: detergente e completamente biodegradabile. L’aceto bianco, ottimo sgrassante e disinfettante delicato. Da mescolare in parti uguali con acqua e conservare in una bottiglia a spruzzo, per pulire i vetri delle finestre, il lavello o il piano di cottura.

Testimonianza diretta: Se avete del bruciato che non se ne vuole andare, provate a fare così: buttate un po’ di polvere di bicarbonato e sopra ci spruzzate dell’aceto. Si formerà una schiumetta che se lasciata agire qualche minuto funziona meglio di qualsiasi BigBen Cillit Splash SporcDestructor e compagnia bella.

Basta stare un po’ attenti per rispettare l’ambiente anche durante le pulizie di casa…

Ma non credete alle magie: mi hanno regalato una palla con della porcellana bioattiva (!!) che, se messa al sole un’ora ogni mese, si “attivava”. Messa nella lavatrice ad ogni lavaggio, questa palla doveva in teoria sostituire qualsiasi detersivo e pulire perfettamente e profumare il bucato. La piccola casalinga con il pensiero magico che vive dentro di me ha provato una prima volta: il bucato è uscito dalla lavatrice puzzolente e con le stesse macchie di prima, poi una seconda, e ancora, stesso risultato… poi una terza, aggiungendo un pochino di detersivo: il bucato è uscito perfetto, pulito e profumato.

Poi ho tolto la palla. E da quel momento ho capito per avere il bucato perfettamente pulito basta semplicemente molto meno detersivo di quello che si crede…

E la palla?

Ci faccio delle maracas.

Arte Condivisa

Cos'è, dov'è e perché "Arte relazionale".

MS intervista Roberta Cianciola che insieme a Massimo Premuda si impegna in questa ricerca dove il coinvolgimento degli abitanti diventa l'opera d'arte

di M.S.

L’arte relazionale è una specifica applicazione dell’arte pubblica e si rivolge essenzialmente ad un pubblico di persone che condivide una situazione assunta come oggetto di indagine artistica.

L’arte pubblica è connotata dal fatto che non si manifesta nei luoghi deputati ad accogliere ordinariamente le opere artistiche (musei, gallerie...), ma si realizza in luogo pubblico e il fruitore dell’opera artistica diventa soggetto che compie l’opera.

In più nell’arte relazionale, i rapporti tra gli individui sono allo stesso tempo oggetto di indagine e frutto dell’intervento artistico. Roberta e Massimo sono due degli esponenti di spicco di questo metodo artistico che operano sul territorio, mantenendo come base Trieste.

Entrando nello specifico domando a Roberta e Massimo: L’arte pubblica crea un legame con il fruitore, una relazione diretta, una condivisione, una partecipazione? L’artista relazionale ha sempre di fronte a sé un “compagno di strada”?

Si, è proprio così, intendendo per legame un processo creativo condiviso tra gli artisti e i partecipanti all’opera, nel quale gli artisti stimolano il pubblico coinvolto indicando possibili percorsi da intraprendere e, dopo aver condiviso e individuato il più idoneo, lo realizzano assieme.

Per capirci, solitamente veniamo incaricati da amministrazioni, enti o altri soggetti, di indagare su una questione che gravita in un luogo e che riguarda ovviamente le persone che vivono o lavorano in quel territorio, il più delle volte si tratta di un nodo da sciogliere o almeno da decifrare, utilizzando un metodo che non sia uno di quelli tradizionalmente utilizzati.

Per prima cosa frequentiamo l’ambiente che sarà interessato dall’intervento artistico e lo viviamo come osservatori privi di pregiudizio, con lo scopo di percepirne le condizioni vitali, sociali, morfologiche e fisiche che lo connotano.

Accumulate le informazioni necessarie alla nostra indagine, ci poniamo delle domande che diverranno il questionario relazionale da rivolgere, in forma di intervista, alle persone con le quali concretamente realizzeremo l’evento. Cerchiamo di creare un percorso attraverso il quale si possa giungere ad una visione creativa e alternativa rispetto alla situazione di partenza. Con l’intento di attivare un percorso virtuoso, che darà i suoi frutti anche nel tempo successivo alla conclusione del nostro intervento artistico.

Quale è la reazione delle persone al vostro arrivo?

Sicuramente lo stupore delle persone, che precede qualsiasi nostra attività artistica, è dovuto al fatto che noi ci presentiamo come artisti che si interessano della loro esistenza e delle loro condizioni, allo scopo di vivere un’esperienza comune e di innescare un sentire e un pensare diversi riguardo a questioni della loro vita quotidiana. Infatti i temi sui quali indaghiamo fanno parte del quotidiano delle persone di un determinato luogo; noi chiediamo a queste persone uno sforzo di comprensione sulla loro vita, offrendoci di accompagnarli nella ricerca.

Sentite un atteggiamento di resistenza (privacy)?

Siamo impegnati al massimo per non essere “colonizzatori”, non conosciamo nessuna verità e desideriamo stare a fianco delle persone con le quali ci relazioniamo. Anche riguardo le risorse tecniche, preferiamo utilizzare ciò che rinveniamo nel territorio o che ci viene offerto. Le persone sentono questa nostra predisposizione interiore e ci accolgono sempre con spirito collaborativo. Per noi, anche l’eventualità di essere rifiutati rappresenta una sensata espressione del singolo individuo.

I vostri interventi hanno dato dei frutti?

Per alcuni interventi abbiamo vissuto sul posto, insieme agli abitanti, l’inizio della trasformazione nella loro realtà quotidiana.

Ad esempio a Spoleto, dopo cinque giorni di intervento, abbiamo organizzato una tavola rotonda alla quale hanno partecipato rappresentanti politici e culturali della città che hanno ripreso un dialogo rimasto interrotto da circa una decina d’anni.

Questo per noi è un frutto.

È questo il prodotto artistico?

Sì, il prodotto artistico è la trasformazione, che si innesta nel sentire, nel pensare e nell’agire delle persone direttamente coinvolte e che fa sperimentare a queste persone di avere, dentro se stessi, la “soluzione” della questione. Questo metodo facilita l’emersione di una verità di cui le persone sono portatrici. Ovviamente lavoriamo sempre con strumenti che sono anche estetici e nella forma di video, o di realizzazione di eventi o di allestimenti in luoghi pubblici (con preferenza per quelli in disuso e abbandonati).

La documentazione di ciò che accade durante gli eventi artistici la pubblichiamo sul web per la più ampia diffusione possibile.

Ricordi un episodio buffo accaduto durante qualche intervento realizzato?

Sì, ed è un ricordo molto fresco! Durante l’happening festoso conclusivo del progetto “Microstorie affollano il confine”, realizzato a Rabuiese nel luglio del 2008, alla presenza di un folto pubblico, e di varie autorità, stavo intervistando il Sindaco di Trieste e gli rivolgevo le domande del questionario già proposto a più di 500 persone.

Verso metà intervista mi accorgo che il Sindaco mi sta osservando in una maniera un po’ divertita e io, non capendone il motivo, continuo imperterrita con le domande, tentando anche di minimizzare il suo sguardo. Verso la fine del nostro dialogo, registrato da emittenti locali e straniere, realizzo: gli ho dato sempre del tu! A quel punto il Sindaco mi abbraccia calorosamente, e per fortuna percepisco di essere di fronte a una persona dotata di evidente capacità di sorridere! Mi sono detta: “Roberta, non cambierai mai!”

Quale è il progetto che preferisci?

Sicuramente quello che non abbiamo ancora realizzato, ma sul quale stiamo lavorando da tempo in fase progettuale. È l’approfondimento di un tema per noi molto significativo, fortemente simbolico, e riguarda il confine di una città che ha vissuto per quasi 60 anni divisa in due Stati caratterizzati in maniera profondamente diversa.

Avete capito di cosa si tratta?