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martedì 1 dicembre 2009

Integrazione culinaria

C'è qualcosa che accomuna autoctoni ed immigrati.

Una cosa che è indipendente dal colore della pelle, dal tropico che ti fa da riferimento, dal nome del mare che hai di fronte, dalla lingua che parli o dalla religione che professi: il cibo

di Annalisa Boscaino e Marco Regis



Abbiamo appurato che quando si parla di cibo cadono tutte le barriere culturali, con una forchetta in una mano e un tovagliolone al collo siamo tutti una faccia una razza, anche in Sudafrica..

Il peggio che puo' accaderti è darvita ad accese discussioni sul grado di cottura di una bella bistecca di antilope (o di maiale...dipende dalla latitudine), c'è chi la preferisce al sangue chi stracotta, ma piu' di quello non si rischiano discriminazioni (e comunque, detto tra noi, l’antilope va mangiata al sangue...).

E devo dire che noi italiani siamo molto avvantaggiati, avendo a tal riguardo un certo significante bagaglio culturale e pare essere comunemente accettata la superiorità della nostra cucina: quando un italiano parla di cibo il resto dei commensali ascolta (e impara!).

Dopo i primi duri tempi qui in cui rimpiangevamo le osmizzate con formaggi e prosciutti di ogni tipo, sognavamo la mozzarella di bufala del fattore campano, i cannelloni di mamma, la bagnacauda piemontese, la torta novecento e la pizza da michele a napoli, ci siamo fatti coraggio, abbandonato i nostri campanilistici pregiudizi e cercato la nostra integrazione culinaria.

E siamo rimasti positivamente sorpresi dalla varietà e originalità di cibi che è possibile gustare in questo Paese.

Il Sudafrica ha infatti una storia travagliata, politicamente, culturalmente e anche dietro i fornelli.

Chiunque sia arrivato fin qui, non stiamo a parlare ora nè del come nè del perchè, ha trasmesso la propria cultura mangereccia e arricchito la cucina locale. Il risultato è che si possono mangiare – piu’ che in altre cosmopolite città europee – varietà infinite di piatti africani, indiani, malesiani, cinesi, varianti italiane, spagnole, portoghesi, olandesi, inglesi e via dicendo ma soprattutto originali mix di questi messi insieme..

A cio’ bisogna aggiungere che ora va tanto di moda (anche qui) lo slow food, con tutte le centinaia di mercatini biologici ed environmental friendly annessi che spuntano fuori come funghi in ogni angolo.

E a ragione, visto che appena usciti di un po’ di chilometri dalle città, si trova un cospicuo numero di farms, immerse in distese verdeggianti e infinite, eredità di olandesi e francesi e inglesi, approdati in questa terra un paio di secoli fa, che producono cose ... bbbuone e genuine.

Giusto per renderci un po’ di giustizia, dobbiamo dire che, cercando cercando, abbiamo trovato una farm che produce mozzarella di bufala (e le bufale indovinate questo gentile cowboy da dove le ha trasportate, in nave, alla stregua di Annibale con gli elefanti?).

O chi ha introdotto la mitica oliva italiana per ottenere olio di alta qualità...o chi ha imparato a fare il pane, stufo dell’anglosassone pane in cassetta, o chi alleva struzzi, chi produce dell’ottimo vino, chi alleva la rara pecora nera e chi cura distese di rooibos (giusto per fare qualche esempio).

Ma lasciando perdere per ora il lato forse piu’ social-economico della cosa (si, mangiare sano, raro e bello costa anche qui) e tornando a quello decisamente piu’ sensoriale...

Vogliamo proporvi una ricetta che da ste parti spopola, si mangia ovunque, anche alla mensa dell’università. Per carità, nulla a che vedere con i grandi chef di casa, ma è un concentrato di culture, addirittura eletto piatto nazionale del Sudafrica dall’Organizzazione Femminile delle Nazioni Unite: il bobotie (si pronuncia buoobuootiiiiiiii...come se lo stessi già masticando).

È un riassunto culturale: gli olandesi hanno importato la carne macinata, le spezie sono state introdotte dagli schiavi portati qui dall’Indonesia e il modo di presentarlo ricorda il “pie” inglese. Senza contare, che questo piatto è un po’ l’analogo della torta salata all’italiana, ovvero si cucina con i resti che si trovano in frigo (soprattutto se il giorno prima si è cucinato un bell’arrosto..speziato!).

Allora...

25g di burro;

1 cipolla tagliata a julienne;

500g di carne macinata (a scelta, qui è comune usare l’agnello ma il manzo, ad esempio, va benissimo);

2 spicchi d’aglio, schiacciato;

2 cm di radice di zenzero fresca, pelata e grattuggiata;

2 cucchiai da tavola di mix di spezie aromatiche (da compare tipo al negozio indiano sotto casa...);

½ cucchiaio di curcuma;

1 cucchiaio di cumino;

1 cucchiaio di coriandolo macinato;

chiodi di garofano (pochi, tipo 2); pepe;

1 cucchiaio di erbe aromatiche seccate varie a scelta;

50g di albicocche secche, tagliate a piccoli pezzi;

25g di mandorle;

4 cucchiai di prezzemolo tagliato fine;

4 foglie di alloro, piu’ qualcuna extra per guarnire;

250ml di latte fresco intero;

3 uova grandi;

(qualcuno ci mette anche l’uvetta passa...).

Riscaldate il forno a 180 gradi. Nel frattempo, in una padella fate dorare le cipolle con il burro (o l’olio) e poi mettetele da parte.

Fate cuocere la carne macinata in una padella antiaderente o in una pentola che non attacca, senza olio, finchè la carne non diventa di colore dorato-scuro. Rimuovete la carne dal fornello e fatela raffreddare.

Intanto, aggiungete alle cipolle tutti i rimanenti ingredienti, eccetto il latte e le uova. Mescolate bene e poi unite questo mix alla carne.

Versate poi il tutto, ben amalgamato, in una pirofila da forno e pressate con le mani o con il dorso di un cucchiaio, in modo che risulti ben compatto.

Sbattete le uova insieme con il latte e versatele sulla carne.

Cuocete in forno per 20-25 minuti per bobotie di piccole dimensioni (e 30-40 per grandi bobotie) o comunque fin quando non vedrete l’uovo ben cotto e la carne di un colore dorato-marrone.

E poi ovviamente tanto buon vino rosso e ... un pensiero a noi emigranti!

E buon appetito!

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