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venerdì 1 maggio 2009

Da dove viene Mandela…

Cronache di un esperimento reale di conoscenza e integrazione. Due italiani emigrati per studio in Sud Africa ci raccontano come vedono il paese che li ospita e come cercano di capirlo.

di Annalisa Boscaino e Marco Regis


Si parla spesso tra di noi di ciò che vediamo in questo paese, cercando di analizzare il perché degli atteggiamenti dei suoi abitanti, capire qual’e’ stata la loro storia e, in questo modo, da dove vengono.


Perché è molto intrigante – e anche un po’ inaspettato - osservare la pacifica convivenza tra bianchi, neri, indiani e meticci (i cosiddetti coloured) che condividono oggi tutto con una naturalezza che fino a un decennio fa non gli era permessa e capire da dove ricevono tutta questa forza di reagire a delle circostanze storiche (e di storia recente) terribili e non giustificabili; vediamo che il sentimento comune di chi arriva per la prima volta a Cape Town – che e’ stata anche il nostro del resto – e’ di stupore: la domanda più frequente e’ come mai queste persone (e parlo qui dei neri) non sono rabbiose e incattivite da più di un secolo di arroganze e violenze nei loro confronti.

Generalmente, per percorrere questa strada, ci sono varie possibilità: o incontrare qualcuno che abbia la voglia di renderci partecipe con i suoi racconti o confrontarsi quotidianamente con gli autoctoni, avendo un orecchio sempre teso a carpire le varie dinamiche o ancora leggere i libri di storia.

La prima possibilità per ora ci e’ preclusa per almeno due motivi: Cape Town e’ grande, ha 3 milioni e mezzo di abitanti e non e’ facile trovare quella “dolce” condizione da piccolo villaggio dove c’e’ sempre la mitica figura di un santone seduto davanti a qualche bar pronto a raccontarti “quanto si stava meglio quando si stava peggio”, senza poi contare l’ostacolo della lingua.

Text Box: Foto  A. Boscaino & M. RegisText Box: La spiaggia di Cape Town in una giornata con condizioni meteo non perfette. In basso a sinistra l’abitazione degli inviati all’estero di VolentieriLa seconda invece e’ quella più a portata a mano: a cominciare dal mattino in treno fino alla sera al locale jazz sotto casa, cerchiamo di interrogare, ipotizzare, osservare quanto più possibile, incuriositi dagli atteggiamenti, desiderosi di trovare le differenze ma soprattutto le affinità, che, nonostante siamo a testa in giù, esistono e forse ci fanno sentire un po’ più a casa.

Infine la terza ipotesi: poiché non si finisce mai d’imparare, come direbbe il santone del bar, abbiamo intenzione di leggere e leggere, ampliando la nostra – scarsissima- cultura sudafricana.

E’ infatti evidente quanto poco sappiamo di questa terra e quanti pregiudizi ci siamo portati dietro dall’Italia! Abbiamo impiegato circa due mesi per scrollarci di dosso infondate paure di violenze, attacchi ai bianchi e via dicendo…

Il primo libro che ci siamo ritrovati a leggere per raggiungere questo nobile scopo e’ “Lungo cammino verso la libertà”, l’autobiografia di Mandela. Pur non scendendo nello specifico dei fatti e’ servito molto ad iniziare a figurarci il quadro storico generale del Sud Africa, dal 1919 (anno di fondazione dell’African National Congress) ai nostri giorni.

Racconta quali sono state le ragioni che hanno visto nascere l’ANC e poi le cause che hanno portato al morbo dell’apartheid ma soprattutto racconta cosa ha spinto i cittadini a ribellarsi e infine a vincere contro l’oppressore.

Mandela qui e’ considerato (a ragione) un eroe, tutti lo adorano, anche il più “incorreggibile” dei bianchi, ma non sarebbe quello che e’ senza la morte – come del resto accade in qualunque guerra che si rispetti – di centinaia di migliaia di suoi concittadini.

E’ stato emozionante leggere questo libro, credo che emozionerebbe chiunque leggerlo ma forse per noi ha assunto un significato più particolare e più intimo perché lo abbiamo letto proprio qui, dove tutto si e’ svolto.

Ne riporto solo un passo, ce ne sarebbero in realtà molti che vorrei riportare ma forse e’ quello che segue racchiude più di tutti la fatica di questo paese nella sua lotta di liberazione e sottolinea la grandezza d’animo di Mandela:

Non sono nato con la sete di libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio, di arrostire pannocchie sotto le stelle, di montare sulla groppa capace dei lenti buoi. Finché ubbidivo a mio padre e rispettavo le tradizioni della mia tribù, non ero ostacolato da leggi divine ne’umane.

Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione, che la vera libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quando ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo. Più tardi a Johannesburg, quand’ero un giovane che cominciava a camminare sulle sue gambe, desideravo le fondamentali e onorevoli libertà di realizzare il mio potenziale, di guadagnarmi da vivere, di sposarmi e di avere una famiglia, la libertà di non essere ostacolato nelle mie legittime attività.

Ma poi lentamente ho capito che non solo non ero libero, ma non lo erano neanche i miei fratelli e sorelle; ho capito che non solo la mia libertà era frustrata, ma anche quella di tutti coloro che condividevano la mia origine. E’ stato allora che sono entrato nell’African National Congress, e la mia sete di libertà personale si e’ trasformata nella sete più grande di libertà per la mia gente.

Text Box: Foto  S. LibralatoE il desiderio di riscatto della mia gente – perché potesse vivere la propria vita con dignità e rispetto di sé – ha sempre animato la mia vita, ha trasformato un ragazzo impaurito in un uomo coraggioso, un avvocato rispettoso delle leggi in un ricercato, un marito devoto alla famiglia in un uomo senza casa, una persona amante della vita in un eremita.

Non sono più virtuoso e altruista di molti, ma ho scoperto che non riuscivo a godere nemmeno delle piccole e limitate libertà che mi erano concesse sapendo che la mia gente non era libera. La libertà e’ una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti e le catene del mio popolo erano anche le mie.

Il Sud Africa post-Mandela che ci si presenta oggi e’ un paese a metà strada tra terzo mondo ed occidente, con tutte le contraddizioni a cui questa strana alchimia può portare: non dico a caso terzo mondo, perché qui e’ ancora possibile sentire le dichiarazioni sconcertanti di un candidato premier che sconfigge la minaccia AIDS facendosi una doccia dopo un rapporto a rischio…e’ agghiacciante e ed e’ esattamente una notizia da terzo mondo.

E’ tangibile una sottile linea rossa di sviluppo: due Sudafrica che corrono parallelamente, su binari sfalzati di almeno 50 anni. Da una parte, scintillanti centri commerciali che farebbero impallidire un Lafayette parigino, macchinoni con motoscafi al seguito di allegre famigliole (biondissime e bianche), movida nelle strade fino a notte fonda, atelier di giovani stilisti nel centro città, campi da golf perfettamente rifiniti, villoni da restare senza parole…tutto come se fosse Europa (e anche di più).

Poi, prendi la macchina, esci poco fuori da Cape Town e comincia lo scenario desolante delle township..raggruppamenti di casupole dal tetto di lamiera, senza servizi igienici, senza luce e polverose (e figuriamoci se ci sono le strade asfaltate).

Eppure, in questi luoghi la gente va avanti, anzi in alcuni casi vive felice: come si legge infatti nel libro, pare che alcune township – in particolare quella di Soweto (South Western Township, alla periferia di Johannesburg) forse la più famosa - siano state i luoghi più animati e colorati di questo paese e, al tempo dell’apartheid, erano i centri di diffusione culturale e politica più attivi. Evidentemente sono luoghi a noi bianchi preclusi, e’ possibile però visitarle, pagando una persona del posto che per pochi euro fa da guida; chi c’e’ stato ce ne parla con entusiasmo: vai li, la guida ti presenta i suoi amici, ti bevi una birra in casa di queste persone, chiacchieri, tutti tranquilli…

Questo e’ l’incomprensibile Sudafrica.

Ma del resto e’ chiaro, e’ appunto come se fosse appena terminata una guerra durata 100 anni - il 27 aprile del 1994 e’ la data delle prime elezioni non razziali e a suffragio universale del paese - e ora il Sudafrica deve ricostruirsi. Anzi per essere appena uscito da una situazione così difficile, sta reagendo fin troppo bene.

Si tocca infatti con mano la voglia di questo paese di farsi valere, nonostante le sue contraddizioni e le sue motivate lentezze, di uscire da un torpore scomodo.

Quello che vediamo tutti i giorni ci piace, ci rilassa (certo, non sempre!): la gente e’ in generale contenta, cortese, originale, per niente stereotipata. Cerca di distinguersi in tutti i modi (soprattutto per le acconciature stravaganti, bisogna dirlo..).

E poi hanno delle ricchezze naturali infinite: paesaggi smisurati, flora e fauna unica, parchi nazionali meravigliosi (praticamente ogni trenta chilometri), qui puoi trovare babbuini, struzzi, antilopi in libertà e ammirarli da vicinissimo, sotto un cielo sempre azzurro e alle pendici di montagne maestose..bello davvero.

Il 22 aprile scorso ci sono state le elezioni.

La campagna elettorale e’ stata particolarmente massiva, soprattutto da parte dell’ANC –che poi alla fine ha vinto.

I risultati di questa elezione probabilmente noi non li vedremo (due anni sono decisamente pochi per un paese come questo, con i suoi tanti troppi problemi – soprattutto di salute - che ha ancora).

Abbiamo notato tanta demagogia e tante belle promesse (nessuna differenza con quanto siamo abituati a vedere dunque!), però abbiamo notato anche tanto colore, vivacità, insomma chiamiamola passione!

Vi terremo aggiornati.

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