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mercoledì 23 giugno 2010

Sete

Un paio di mesi fa ho partecipato ad una riunione del “Volentieri” in cui si poneva il primo mattone di questo numero: “parleremo dell’Acqua”. BOOM!! Una frazione di secondo dopo la mia mente era persa in una supernova di ricordi di infanzia.
di Noiz-P



La casa dei miei nonni, in via Napoli 50, nel centro del centro di Palermo.

Tutto il mio famiglione si attrezzava d’estate per trascorrere le due settimane centrali agostane nella terra delle origini... nonna materna, genitori, 4 figli, un milione di bagagli sotto casa nel coneglianese.

Poi taxi e aeroporto (offertona family Alitalia) o stazione dei treni (niente offertona family Alitalia).

Laggiù nonni, zii, cugini, lontani parenti, mare, gelato, pesce... tutto in abbondanza (pure troppo).

Unica risorsa precaria l’Acqua. A giorni alterni, da conservare, da preservare. Da piccoli era quasi un gioco organizzare il turno delle docce, cronometrarsi... ma non potevo non pensare ai miei parenti più anziani che, pur vivendo in un capoluogo, dovevano confrontarsi con un problema non da poco.

Il piccolo nerd no global che da sempre alberga nella mia testolina cominciò a farsi delle domandine. Negli anni qualche risposta l’ho trovata.

La Sicilia, nelle proiezioni mentali di molti, è una specie di zona pre-desertica, con cammelli e beduini in preda alle allucinazioni.

Ve l’assicuro: d’inverno sembra la Scozia delle Highlands col morbillo. Cascate, pascoli e prati verdissimi, aranceti a perdita d’occhio.

D’estate fa caldo, come negarlo. La natura si secca un bel po’ ma siamo molto, molto lontani dalla desertificazione.

Pensate che ogni anno circa 7 miliardi di metri cubi d'acqua - quasi il triplo del fabbisogno calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi (1 miliardo e 325 milioni per l'irrigazione dei campi, 727 milioni per dissetare i centri abitati, 430 milioni per il fabbisogno industriale) – si rovesciano sul “granaio d’Italia” di romana memoria.

Stringiamo il campo d’indagine sulla mia amata Palermo.

Un documento del Ministero delle attività agricole redatto nel 1940 parlava di 114 sorgenti e 600 pozzi che soddisfacevano abbondantemente il fabbisogno della comunità civile e agricola, la quale poteva contare su un numero impressionante di pozzi nei pressi della costa e delle foci dei fiumi (diverse foto testimoniano l’esistenza di fiumi nell’area urbana; uno tagliava Palermo proprio nel mezzo).

Facciamo un saltino di qualche anno... 30 anni dopo la stessa indagine dà risultati un pelino differenti.

1968: figurano solo 13 pozzi, di cui due salini e quattro in via di esaurimento per impoverimento della falda.

Cos’è successo? Voi mi avete già capito... la spiegazione risiede nella terza e più grave delle piaghe che affliggono la Sicilia oltre l’Etna e il traffico... è tentacolare e vorticosa, decisamente propensa all’uso della violenza e del sopruso.

Quello che prima compariva sulle carte si era prosciugato più velocemente della Cassa del Mezzogiorno.

I pozzi erano finiti in mano ai Greco di Ciaculli, una delle dinastie mafiose più note, ai Buffa, i Motisi, i Marcenò, i Teresi.

L'Azienda municipale acquedotto di Palermo prendeva in affitto i pozzi dei “privati”, gli pagava quella che doveva essere la sua acqua (circa 400mila euro l'anno) mentre i privati per scavare i pozzi si servivano dei mezzi dell'Esa, cioè di un ente pubblico. Con modica spesa realizzavano affari consistenti.

La Provincia, alla ricerca di nuove acque, trivellava le zone povere d'acqua, lasciando le zone più ricche al monopolio di Cosa Nostra. Il prezzo poi era stabilito dalle famiglie mafiose che, a seconda del periodo, potevano “ricattare” la città imponendo variazioni di spesa.

La privatizzazione dell’Acqua, ora al centro di polemiche e confronti a livello mondiale, è uno stato di fatto da oltre un secolo nell’isola del sole, con un’impennata di attività delittuose legate ad essa durante gli ultimi 50 anni.

Ha visto i suoi albori con la costituzione dello Stato unitario che non varò alcuna politica di pubblicizzazione e regolamentazione delle acque.

Nelle campagne palermitane si è impose la pratica del controllo privato esercitato da guardiani, i "fontanieri", stipendiati dagli utenti.

I guardiani erano nella maggioranza legati alla mafia, così pure i "giardinieri", cioè gli affittuari e gli intermediari.

Chi si opponeva allo stato di fatto (politici, privati, giornalisti) veniva messo a tacere in tempo zero.

Negli anni ha messo in campo una rete fittissima di interessi e collusioni di ogni tipo (sanità, agricoltura, lavori pubblici) troppo trasversali per venirne a capo. Questo groviglio è alla base di quel che ancora oggi accade in tutta la Sicilia.

Nessuna delle dighe esistenti è autorizzata ad essere riempita completamente: la diga Ancipa potrebbe raccogliere 34 milioni di metri cubi d'acqua, ne raccoglie solo 4 milioni. Presenta delle crepe, segnalate da più di trent'anni.

La diga Disueri potrebbe contenere 23 milioni di metri cubi, ma deve fermarsi a 2 milioni e mezzo. La diga Furore, in provincia di Agrigento, completata nel 1992, non è mai entrata in funzione.

Data la frammentazione della gestione, spesso riesce difficile individuare le responsabilità. In Sicilia si dovrebbero occupare di acqua 3 enti regionali, 3 aziende municipalizzate, 2 società miste, 19 società private, 11 consorzi di bonifica, 284 gestioni comunali, 400 consorzi fra utenti e altri 13 consorzi. All'ennesima emergenza idrica, si è pensato di risolvere il problema nominando commissario il presidente della Regione.

Nel 2000, un'ordinanza di protezione civile stanziava 54 miliardi per opere urgenti da realizzare nel giro di nove anni.

Le inadempienze della Regione hanno indotto il Ministro dei lavori pubblici a nominare, nel febbraio del 2001, un commissario dello Stato.

Ora: provate a pensare ai volumi di denaro legati allo sfruttamento delle risorse idriche, alla produzione agricola e al mercato derivante legati a queste, ai cantieri connessi direttamente e indirettamente ad opere pubbliche e private sul territorio nazionale e europeo... miliardi di euro.

Da qui una serie di omicidi tesi a soffocare tesi scomode, boicottaggio e sabotaggio di sorgenti-falde freatiche-condutture, omissioni di indagine, oscuramenti di bilancio e appropriazione etc etc. Il solito, perfetto, orrendo puzzle di denaro e silenzi, che piega lo Stato al suo volere.

Spesso tv e giornali chiedono conto dell’omertà del Sud... e mi fa male... gente col microfono che interroga il cittadino: “Ma se sapete perché non denunciate?”; “Ma allora siete conniventi col potere mafioso: siete delinquenti anche voi!”.

Un paio di riflessioni: la Mafia si è inserita nel contesto sociale ed economico del Meridione in un periodo di gravi mancanze, ponendosi come una sorta di longa manus benefica che risolveva, sosteneva, appoggiava il popolo. Facendo leva sulle insicurezze e sull’ignoranza della povera gente ha eliminato tutte le personalità che non scendevano a patti, comprando quelle corruttibili.

Nell’immediato dopo guerra, complice la liberazione americana dal fascismo (che era riuscito a frenarla o a costringerla a emigrare), l’organizzazione ha cambiato il suo assetto politico. Da forza operante nei settori “classici” dell’illegalità, la Mafia ha cominciato a sostituirsi a parti vitali del sistema economico. Lì è la chiave di tutto.

Immaginate la storia siciliana (ma un po’ di tutto il sud) come un binario col treno sopra.

Ad un certo punto, complice un capostazione e un addetto al controllo traffico, il treno, in piena corsa, viene deviato su altro binario da una leva-scambio tirata nel momento meno documentabile del viaggio. Il gioco è fatto.

Qualunque operazione, comunicazione, fermata, riparazione di quel treno sarà fatta sul percorso alternativo a quello regolare.

Mettiamo che la soluzione sia tirare un’altra leva di cambio per far tornare il mezzo sul tracciato originale.

Ad ogni posto di controllo c’è un comando armato che impedisce anche solo di avvicinarsi (minacciando te e tutti gli affetti che hai... anche se sono lontani migliaia di chilometri) o un integerrimo professionista capace di convincere i questuanti che è necessario rimandare al prossimo scambio l’operazione per la salvaguardia dei viaggiatori o un sabotaggio dell’attrezzatura o una frana sulla strada che porta al binario etc etc etc

Quale la soluzione? La morte dell’oppositore (Peppino Impastato)? La morte dell’inquirente (Falcone-Borsellino)? La morte della gente comune (Portella delle Ginestre)? Ci sarà sempre e solo morte lungo quel binario... anche se tutto il popolo si riversasse per le strade... basterebbe più esplosivo, più armi, più parolai.

La Mafia è diventata una parte della mano dello Stato (direi il pollice opponibile), cura i suoi interessi, investe per suo stesso conto.

Le attività criminali legate all’import-export di stupefacenti, compravendita d’armi, pizzo etc sono ormai la voce meno redditizia del bilancio mafioso. Ne è la prova il fatto che tutti i vecchi dell’organizzazione (leaders del vecchio modo di gestire il sistema) sono stati epurati dalla stessa organizzazione, messi in bella vista per essere catturati... Si può davvero pensare che attraverso i “pizzini” Provenzano gestisse le compartecipazioni azionarie delle famiglie nelle speculazioni edilizie estero su estero triangolate alle Cayman? Provenzano, Riina, Greco erano il braccio armato, la faccia da additare ai maxi-processi. Non ne sto sminuendo il potere criminoso... piuttosto quello criminale.

Ripeto: quale la soluzione? Mai avrei pensato che uno di super-sinistra come me arrivasse a questa conclusione: capitale.

Capitale pulito a fiumi e vincolato, meglio se straniero. Sostituzione della leadership politica tout court. Amministratori esterni interfacciati con una direzione centrale che opera oltre i confini nazionali. Perché l’unico modo di salvare quel treno è avere un mezzo supertecnologico e costoso che arrivi dall’alto, agganci i vagoni e li riporti sul binario originale.

Mi direte: sei sicuro che in tal caso non riempiranno di esplosivo il treno stesso? Domanda legittima.

Se vorrete ne parleremo nel prossimo numero.

Adesso vi lascio pensare a quanti hanno lottato e lottano contro il sistema mafioso pagando con la vita.

Poi vi invito a pensare alle mie estati di vacanza e ai miei nonni con l’acqua centellinata.

Vedete, in Sicilia, in fondo, quasi tutti pagano con la propria vita.

Ma quanti vivono questa condizione che sembra appartenere solo a certe regioni o zone del mondo?

Allontanate la lente da quel piccolo triangolo di terra quasi isoscele.

Quanti treni stanno correndo su binari corrotti?

Se non è acqua è cibo, se non cibo lavoro, se non lavoro condizioni di salute, se non la salute le aspettative di vita e realtà.

Ma stiamo cominciando a parlare dei punti chiave noi (tutti), i fortunati del mondo. Io lo vedo come un buon inizio. C’è sete.

Alla prossima



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